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 2011  giugno 13 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 13 GIUGNO 2011

Sabato inizia a Torino il processo di fronte al giudice del lavoro per stabilire se il contratto Fiat di Pomigliano ha violato la legge. L’accordo firmato lo scorso 29 dicembre da Fiat, Fim, Uilm, Ugl e Fismic per ridisegnare l’assetto contrattuale dei 4.600 lavoratori dello stabilimento campano ha dato via libera all’investimento di 700 milioni di euro per la produzione della Nuova Panda e ha imposto nuove regole per i dipendenti, riassunti nella newco (new company, nuova società) Fabbrica Italia. [1] Il ricorso della Fiom punta sull’«illegittimità del trasferimento dei lavoratori in un’altra azienda che però operano nello stesso luogo, fanno la stessa produzione e l’azienda fa sempre capo allo stesso azionista». Altro punto contestato: l’esclusione dalla rappresentanza dei sindacati che non hanno firmato l’accordo, «un’attività antisindacale» secondo i metalmeccanici della Cgil. [2]

I sindacati sono profondamente spaccati. All’udienza di sabato parteciperà la Fismic, che sta preparando «un intervento volontario in giudizio contro la Fiom a tutela dei lavoratori che hanno votato, a stragrande maggioranza, a favore dell’accordo di Pomigliano». Luca Fornovo: «Fim e Uilm hanno, invece, presentato, così come farà l’Ugl, una memoria “per difendere le importanti ragioni sindacali di un accordo che ha assicurato lavoro e prospettive industriali a Pomigliano”». Secondo Raffaele Bonanni, numero uno della Cisl, la Cgil «non fa un accordo che sia uno per salvare posti di lavoro, noi li facciamo e li salviamo». [3] Replica della Camusso, leader della Cgil: «È stata la Fiat a voler escludere il più grande sindacato italiano, ma Cisl e Uil hanno subito accettato». [4]

Dopo decenni di contrapposizione, la crisi dei sindacati si riflette in quella della Confindustria. [5] L’invio della lettera con cui Fiat spa comunicherà a viale dell’Astronomia l’intenzione di sostituire dal primo gennaio il contratto nazionale dei metalmeccanici con quello siglato a Pomigliano pare ormai imminente. [6] Emma Marcegaglia, presidente degli industriali: «A noi non risulta che sia una questione di ore». [7] Tra i consulenti di Marchionne c’è però chi sostiene che inviare la lettera di disdetta prima dell’avvio dell’iter giudiziario proteggerebbe l’azienda da un’eventuale sentenza che bocciando la newco imporrebbe l’applicazione del contratto nazionale. [8]

I contratti attualmente in vigore sono due ma quello del 2008, sottoscritto da tutti i sindacati (Fiom compresa), scade il 31 dicembre del 2011 ed è questo il motivo per cui la Fiat pensa di uscire da Confindustria a partire dal giorno successivo, quando non avrà più obblighi con la Fiom. Paolo Griseri: «In teoria li avrebbe invece, quegli obblighi, con gli altri sindacati che nel 2009 sottoscrissero un contratto separato dei metalmeccanici. Questo secondo contratto scadrà a fine 2012 e dunque la Fiat non potrebbe disdirlo prima di quella data, a meno che tutti i firmatari non siano d’accordo». [6]

I metalmeccanici di Bonanni daranno il loro indispensabile assenso all’uscita di Fiat da Confindustria? Griseri: «Potrebbero opporsi, costringendo l’azienda a rimanere in Confindustria un altro anno. Ma così facendo entrerebbero in contraddizione con le proprie affermazioni. Perché nella memoria consegnata nei giorni scorsi al tribunale di Torino, i legali della Fim-Cisl hanno contestato gli attacchi della Fiom al contratto di Pomigliano sostenendo che quell’accordo è “migliorativo” rispetto al contratto nazionale dei metalmeccanici. Dunque, se quello di Pomigliano è migliore, perché battersi a difesa del contratto peggiore?». [6]

Da quasi un anno Marchionne aspetta che Confindustria e i “sindacati riformisti” arrivino al promesso accordo su nuove regole per il settore dell’automobile. Raffaella Polato: «Regole più flessibili, che rispecchino rapporti di lavoro sempre più - di fatto e non solo in Fiat - diretti tra aziende e dipendenti. Non è accaduto nulla, tutto fermo alle ”burocrazie centrali” delle rappresentanze». [9] Secondo Vincenzo Ilotte, presidente uscente dell’Amma (l’associazione delle imprese metalmeccaniche) di Torino, l’uscita della Fiat è «in queste condizioni, inevitabile, un passaggio obbligato, conseguenza del muro contro muro di questi anni»: «Comprendo il disappunto di Marchionne davanti alle resistenze di una parte del movimento sindacale a sottoscrivere le condizioni di governabilità indispensabili a saturare gli impianti». [10]

La lobby degli imprenditori si è fatta trovare impreparata dalla bomba di Marchionne perché affetta da immobilismo e conservatorismo. L’economista Tito Boeri: «Le imprese italiane, in realtà, hanno paura della contrattazione: preferiscono affidarla alla Confindustria per poi gestire sul campo ciò che viene deciso al centro. E hanno perso un’occasione eccellente di portare a casa risultati concreti, sfruttando le diverse posizioni di Cgil da una parte e di Cisl e Uil dall’altra». Maurizio Maggi e Luca Piana: «Per il docente della Bocconi, animatore del sito lavoce.info, con la prima la Confindustria avrebbe potuto spingere sulla modifica del sistema di rappresentanza, un’ipotesi che non piace a Cisl e Uil. E, nel contempo, avrebbe dovuto capitalizzare la sintonia con le altre due per ampliare il peso della contrattazione decentrata. “Invece ha preferito traccheggiare, non scontentare nessuno e ora corre il rischio di essere sempre meno rilevante nelle battaglie che contano”». [5]

Alla Fiat il contratto dell’auto nazionale va bene solo se recepisce le volontà dell’azienda. Maggi & Piana: «120 ore l’anno di straordinario obbligatorio, riduzione delle pause, nuove sanzioni sia per i lavoratori che per i sindacati. In pratica, o la Confindustria fa come vuole Torino, oppure addio. Federmeccanica o Federmarchionne?». [5] Marchionne: «Non possiamo accettare che l’appartenenza alla Confindustria indebolisca la Fiat». [11] Secondo Alberto Bombassei, vice della Marcegaglia, «la Fiat, come qualunque altra azienda, può essere associata a Confindustria pur avendo un proprio contratto aziendale sostitutivo rispetto a quello nazionale». [12]

Bombassei propone contratti aziendali approvati a maggioranza dai lavoratori, pienamente vincolanti per tutti i sindacati, e soprattutto alternativi ai contratti nazionali di categoria validi per tutto un settore industriale. Roberto Giovannini: «Un’idea che ha lo scopo di mantenere tutti (una Fiat sempre più riluttante compresa) sotto l’egida di Confindustria. Ma che sta sollevando molte tensioni. Se ogni azienda può stipulare un contratto aziendale diverso e specifico - molti si chiedono - allora a che serve Confindustria e i suoi contratti nazionali, peraltro ancora graditi alla maggioranza degli associati, poco lieti di negoziare in azienda col sindacato?». [13]

«Se passa l’idea che ci sia una legge sulle modalità di contrattazione spero che poi il vicepresidente raccolga le firme per sciogliere Confindustria, perché non si capirebbe più quale senso avrebbero le rappresentanze delle parti sociali», ha attaccato la Camusso. [13] Probabilmente già oggi la Marcegaglia invierà una lettera al sindacato con la mossa che potrebbe porre le premesse per una svolta: «Chiameremo i sindacati per discutere insieme una proposta su rappresentanza ed esigibilità dei contratti. Pensiamo che, se un’azienda fa un accordo con la maggioranza, debba valere per tutti i lavoratori». L’incontro, che potrebbe portare a un «avviso comune», dovrebbe essere fissato già domani o mercoledì. [8]

Presto potrebbe arrivare una legge che dia forza alla negoziazione aziendale. Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro: «Nei Paesi occidentali il contratto aziendale è sempre più riconosciuto come il più idoneo a far crescere le imprese in termini di condivisione sociale». [14] La fine del contratto per tutti, dicono i contrari, spingerebbe «sull’orlo del baratro quella parte del sindacato abituata a vivere di rendita e senza voglia di confliggere, che non avrà la forza di andare ai cancelli delle fabbriche, dove si sposterà lo scontro». Giorgio Airaudo, responsabile auto della Fiom: «Parallelamente potrebbe segnare la fine della Confindustria, dove i vincoli associativi sono più deboli: i grandi la lasceranno perché cercheranno i fondi pubblici nei Paesi in grado di offrirli» [5]

Un intervento per garantire gli accordi aziendali sarebbe sottratto ai vincoli posti dall’articolo 39 della Costituzione, che fa riferimento ai soli contratti nazionali di categoria. Giuliano Cazzola (Pdl), giuslavorista e vicepresidente della Camera: «L’effettività degli accordi aziendali potrebbe poi essere assicurata mediante modalità che rendano operativa una norma dello statuto dei lavoratori in tema di referendum. In tutta Europa è aperto il problema di rafforzare la contrattazione aziendale, anche attraverso quel sistema di deroghe che, ad esempio, è tra le condizioni più importanti del miracolo tedesco». [14]

In Francia, in Germania, in Gran Bretagna, potrebbe verificarsi un caso Fiat? O meglio porsi, come si sta ponendo in Italia, la necessità di intervenire sui meccanismi della rappresentanza sindacale e sull’estensione erga omnes o meno dei contratti? Serena Uccello: «La risposta, a leggere l’attuale quadro normativo, è no. No cioè alla prima domanda. E no alla seconda. Per comprenderlo bisogna avere chiara quella che si potrebbe definire come una peculiarità italiana: cioè il fatto che esistono più livelli contrattuali che nella maggior parte dei casi si sovrappongono (spesso i lavoratori hanno cioè sia il contratto nazionale che quello aziendale) e il fatto che più sindacati rappresentano la stessa platea di lavoro». [15]

In Gran Bretagna i contratti sono aziendali o individuali (con un livello salariale minimo garantito). In Germania le categorie professionali sono rappresentate da un solo sindacato (l’Ig Metall per i metalmeccanici), «il contratto collettivo non è nazionale, bensì tendenzialmente regionale, come dimostra il caso dell’industria. Là dove non interviene la contrattazione collettiva ma scatta quella individuale, ci sono i consigli di fabbrica a fare da interfaccia tra il datore di lavoro e i dipendenti» (Uccello). In Francia, dal 2008, i contratti (settoriali o aziendali) sono validi se firmati da sindacati che insieme rappresentano la maggioranza dei dipendenti. [15]

Note: [1] Corriere della Sera 26/5; [2] S. U., Il Sole 24 Ore 5/6; [3] Luca Fornovo, La Stampa 7/6; [4] Luisa Grion, la Repubblica 5/6; [5] Maurizio Maggi e Luca Piana, L’Espresso 29/12/2010; [6] Paolo Griseri, la Repubblica 9/6; [7] La Stampa 10/6; [8] Raffaella Polato, Corriere della Sera 10/6; [9] Raffaella Polato, Corriere della Sera 26/5; [10] Marina Cassi, La Stampa 8/6; [11] p. g. la Repubblica 5/6; [12] la Repubblica 5/6; [13] Roberto Giovannini, La Stampa 6/6; [14] Luigi Grassia, La Stampa 11/6; [15] Serena Uccello, Il Sole 24 Ore 11/6.