Roberto Miliacca, ItaliaOggi 13/6/2011, 13 giugno 2011
GLI AVVOCATI IMPOVERISCONO, NON LE LAW FIRM
GLI AVVOCATI IMPOVERISCONO, NON LE LAW FIRM -
Si sta andando verso una proletarizzazione dell’Avvocatura? Negli ultimi anni gli indicatori forniti dalla Cassa forense e dall’Istat stanno rappresentando una professione sempre più «povera». Dal palco del convegno dell’Avvocatura di Siracusa il presidente della Cassa forense, Marco Ubertini, ha fornito una fotografia impietosa: secondo le stime del 2010, dei 216.728 avvocati iscritti agli albi, solo 156.934 sono iscritti alla Cassa forense (circa il 72%, dieci anni fa erano circa il 75%). Gli «assenti» non raggiungono il reddito minimo necessario per l’iscrizione, cioè 9 mila euro annui (750 euro mensili). Questi avvocati non solo vivono con un reddito mensile inferiore a quello giudicato dall’Istat come soglia di povertà (1.000 euro al mese), ma non godono di alcuna copertura previdenziale e assistenziale, né di ammortizzatori sociali. E i circa 49.800 euro dichiarati mediamente dagli avvocati italiani sono uno dei valori più bassi (considerando l’inflazione) degli ultimi 20 anni. Eppure, a fronte di questi dati «tragici», c’è una realtà, quella degli studi d’affari, che è in continua crescita di fatturati. Secondo l’indagine annuale TL100, i primi 100 studi legali d’affari attivi in Italia hanno archiviato il 2010 con un fatturato complessivo in crescita del 3,7%. Il valore dei ricavi prodotti dalle law firm si attesta attorno ai 2 miliardi di euro; solo i primi 50 studi hanno fatturato 1,6 miliardi (+4,65% rispetto all’anno precedente). Che succede? Due fotografie diverse? Due Italie diverse? O forse solo due mondi che, almeno dal punto di visto di organizzazione dell’attività legale, non parlano la stessa lingua con la clientela?