Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ci troviamo di fronte a questa situazione romanzesca: gli scienziati di mezzo mondo non riescono a capire da dove provenga l’Escherichia coli che ogni giorno ammazza un paio di europei (la pista dei germogli di soia s’è rivelata fasulla). In Italia nessuno riesce a far funzionare il cervellone delle Poste, andato in titl lo scorso 1° giugno, a quanto si capisce per una semplice operazione di “update”, cioè di aggiornamento del software. Ieri sera il problema non era ancora stato risolto, nonostante le assicurazioni che ciclicamente arrivano dal vertice dell’azienda.
Come mai? Davvero non si spiega.
L’update tormenta tutti noi, ma nel caso delle Poste
era una procedura messa nel conto da un pezzo. È stato però fatto un primo
sbagli si è deciso di procedere a cavallo tra la fine di un mese e l’inizio
del mese successivo, cioè in un periodo ricco di scadenze e di bollette da
pagare. La transizione maggio/giugno è poi particolarmente trafficata.
Probabilmente hanno pensato tutti che si
trattasse di un’operazione tranquilla.
Sono coinvolte – con livelli di responsabilità
ancora da definire – Ibm, Hp (azienda di sistemi informatici che fa sempre capo
all’Ibm) e l’italiana Gepin spa. Si trattava di aggiornare il data-base del
server fornito da Ibm, in modo da accelerare e semplificare le operazioni. Su
una struttura tanto complessa (il solo server centrale ha 200 processori) si
interviene con cicli preventivi di test, che nel caso delle Poste sono durati quattro
settimane. Il 30 maggio parte l’aggiornamento. Il 1° giugno parecchi servizi
cominciano ad andare in crash. Gli ingegneri spiegano che, trattandosi di
un’operazione di routine, non s’è pensato di fare una valutazione dei volumi di
carico. Ora le Poste viaggiano a un ritmo di 7-8 milioni di operazioni al
giorno. I crash hanno cominciato a provocare caos, il perdurare dei crash ha
moltiplicato il numero di operazioni arretrate, di file agli sportelli, di
comunicati di protesta. Non ne siamo ancora usciti. Temo che i tecnici non
abbiano ancora capito – o abbiano capito solo da poco – la natura del problema.
L’informatica, come saprà, è sì-sì, no-no. Finché non hai centrato la sequenza
giusta, non cammini.
Quindi inutile chiedere quando il caos finirà. Una
quantificazione del danno?
Impossibile adesso. Si sono mosse però le
associazioni dei consumatori. Il Codacons annuncia un tavolo di conciliazione
per domani. Adusbef e Federconsumatori chiedono una soluzione immediata: per
esempio che si prolunghino, magari per decreto, tutta una serie di scadenze, in
modo da non far pagare ai cittadini incolpevoli gli interessi di mora. Il
Codacons chiede un bonus da 50 euro utilizzabili in servizi postali ed emessi a
favore di coloro che hanno dovuto sopportare file agli sportelli e le attese
interminabili. «E un bonus da 25 euro per ogni ulteriore ora di attesa dalla
seconda in poi». Non so come si potranno provare le due o tre ore di attesa.
Tutti consigliano di conservare la documentazione relativa ai pagamenti ritardati.
È esclusa, almeno per ora, una class action.
Le Poste che dicono?
Parlano poco, specialmente dopo il comunicato di
venerdì che annunciava la fine dei disagi: «…i tecnici hanno ripristinato il
regolare funzionamento… nella giornata odierna sono state regolarmente eseguite
5,5 milioni di operazioni a fronte dello standard giornaliero che è pari a 7
milioni…». Si assicurava che il personale aveva lavorato molto oltre l’orario
«consentendo così l’erogazione dei servizi a tutti i clienti in attesa e garantendo
oltre 6 milioni di transazioni, il pagamento di oltre 180 mila pensioni e
l’accettazione di oltre 1.200.000 bollettini». Quelli messi peggio sono i
pensionati, rimasti senza soldi. Ma non solo loro. In generale il blocco delle
Poste ha effetti sulla circolazione complessiva ancora da valutare.
Naturalmente la prendiamo alla leggera perché siamo convinti che, comunque, il
problema si risolverà presto. Non oso nemmeno immaginare le conseguenze di una
paralisi prolungata.
I cittadini che dicono? Ho sentito in tv reazioni
furibonde.
A Palermo, poste di via Roma, il pubblico ammassato
s’è accorto a un certo punto che su sei sportelli potenzialmente disponibili ne
era aperto uno solo. «I terminali adesso funzionano, ma il resto dei dipendenti
è in un’altra stanza a sbrigare faccende per conto terzi!» grida qualcuno. Le
proteste però non hanno effetto. Una chiamata alla polizia ottiene risposte
vaghe. Allora un pensionato chiama il 113, dice che è in corso una rapina e fa
accorrere due volanti con dieci agenti che entrano alle Poste pistole in pugno.
Il pensionato si becca una denuncia per procurato allarme, ma gli impiegati
riappaiono come per incanto dietro ai sei sportelli
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 8 giugno 2011]
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