Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

LE FOTO MAI VISTE DELL´INFERNO ATOMICO - È

soltanto una sedia con una giacca sopra. La sedia è intatta, la giacca è tutta bruciacchiata. Il rapporto top secret, l´United States Strategic Bombing Survey, 1947, dice che «è la giacca parzialmente bruciata di un ragazzino che si trovava all´aperto vicino al Municipio (Edificio 28) a 3.800 piedi dall´A. Z.». Tremila e ottocento piedi sono un chilometro e 150 metri. A. Z. sta per Area Zero: quella che in altre pagine del documento è chiamata Ground Zero. E questa è Hiroshima, 5 novembre 1945: tre mesi dopo quel 6 agosto che portò la fine del mondo in terra.
Quel che resta di quel bambino è l´ultima cartolina da Hiroshima. E «Hiroshima: Ground Zero 1945» è la mostra che va in scena nella città che quasi sessant´anni dopo ha conosciuto l´altra Ground Zero, New York. Sono le foto mai viste dall´inferno: il primo rapporto della Divisione Danni Effettivi degli Stati Uniti d´America. Un rapporto rimasto fin qui segreto. Sopravvissuto a un terribile incendio e perfino a un camion della spazzatura. Come se fossero destinate a tornare proprio là, quelle foto: dall´inferno da cui erano arrivate - o nell´immondezzaio dell´umanità.
Le ha riscattate per noi il signor Don Levy, ristoratore. E la storia la racconta uno dei curatori della mostra all´International Center of Photography. «È una notte di pioggia a Watertown, Massachusetts», scrive Adam Harrison Levy, «e un uomo sta portando il suo cane a passeggio. Sul marciapiede si imbatte in una pila di immondizia: vecchi materassi, scatole di cartone, qualche lampada rotta. Nel cumulo, una valigia malandata. Dentro, una ridda di foto in bianche e nero di edifici devastati, ponti saltati: immagini di una città in rovina». Mentre piove a dirotto, Dan il ristoratore realizza che sta guardando qualcosa che nessuno ha visto mai: «Sta guardando Hiroshima».
L´anno è il Duemila e la storia è appena agli inizi. Il ristoratore mostra le foto a un amico che gli consiglia di contattare un gallerista di New York. Ed è qui che spunta fuori il proprietario della valigia. «Le foto? Di Hiroshima?? Le avete voi??? E io che pensavo che fossero nella mia cantina! Saranno finite tra l´immondizia per errore!». Marc Levitt, il proprietario ritrovato, annuncia però un altro colpo di scena: «Credo di avere ancora altro materiale». Ma com´erano finite quelle foto da lui? Era stata la sua amica Nancy Mason a chiedergli di liberarla di tutta quella cianfrusaglia sopravvissuta all´incendio della casa di suo padre: Robert L. Corsbie. Cioè il responsabile di quel rapporto supersegreto sulla città morta.
La mostra è esemplare come una cronaca di una volta. Le foto sono piccoline, formato appunto cartolina, e si sviluppano geograficamente: dall´Edificio 1, quello che effettivamente si trovava su Ground Zero, ed era proprio il Palazzo della Croce Rossa, allontanandosi via via dall´epicentro. A «più GZ 3500», cioè a 3500 piedi da Ground Zero, poco più di un chilometro, la didascalia indica «le impronte sull´asfalto del ponte numero 20 distrutto»: le impronte sono quelle dell´uomo bruciato dall´esplosione, l´asfalto intorno è tutto annerito dal fuoco. Questa è invece la Scuola Elementare Takeya. E quest´altra l´Università di Letteratura e Scienza. Ecco «quel che rimane di un teatro» vicino all´Odomasa Store. E questa è la Biblioteca Asano: «Notare la deformazione della scala d´acciaio, dovuto all´intenso calore per l´incendio delle cataste di libri». Sfila tutta la città che non c´è più sotto l´obiettivo della squadra Danni Effettivi: l´Hiroshima Telephone Company, la Birreria Kirin, la Stazione...
«Il risultato che colpisce di più della bomba atomica», si legge nel rapporto segreto, «è il grande numero delle vittime. Il numero esatto non si saprà mai data la confusione dopo l´esplosione: persone considerate disperse potrebbero essere bruciate negli edifici crollanti, finite nelle cremazioni di massa». Non si saprà mai. Ma l´atomica che gli americani soprannominarono Little Boy, ragazzino, fece da 90mila ai 166mila morti. Little Boy: come il fantasma che settant´anni dopo ci guarda da quella sedia vuota.