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 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

Armi atomiche India e Pakistan non si fermano - Il bottone, anzi i bottoni di «fine-del-mondo» esistono ancora

Armi atomiche India e Pakistan non si fermano - Il bottone, anzi i bottoni di «fine-del-mondo» esistono ancora. Sono nelle solite mani, America e Russia. Anche se, pure in questo campo, si stanno facendo strada i Paesi emergenti, segnatamente India e Pakistan. L’ultimo rapporto Sipri (la ong svedese che dal 1966 veglia sulla pace internazionale) fotografa un arsenale atomico mondiale in leggero calo rispetto a un anno fa. Oltre 20 mila testate. Gli unici tagli significativi, però, sono stati fatti dalle due superpotenze nucleari protagoniste della corsa agli armamenti durante la Guerra fredda, mentre in una delle aree più instabili del pianeta il potenziale distruttivo continua a crescere. Gli Stati Uniti sono passati da un totale di 9600 a 8500, la Russia da 12.000 a 11.000. Assieme detengono ancora il 95 per cento di tutte le testate mondiali, sufficienti a «distruggere svariate volte la Terra», come si diceva comunemente prima della caduta del Muro di Berlino. In realtà, fin dagli Anni Settanta, la paura del «Mad» (Mutual assured distruction), la distruzione atomica reciproca garantita, Washington e Mosca avevano cominciato a sforbiciare le bombe nei silos che avevano toccato la stratosferica cifra di oltre cinquantamila. Quest’anno, con il nuovo trattato Start, si sono poste l’obbiettivo di 1550 testate «operative», cioè pronte a essere lanciate in pochi minuti. Gli americani sono a quota 2150, i russi a 2427. Più, rispettivamente, 6350 e 8570 di riserva, tenute in naftalina con spese non trascurabili, anche se molto inferiori a quelle per le testate operative. Degli altri Paesi legalmente in possesso dell’arma atomica, Francia e Gran Bretagna mantengono un numero significativo di testate operative (290 e 160), tutte schierate a bordo di sommergibili atomici. Uno sforzo economico dettato dalla volontà di non scendere di rango tra le potenze militari mondiali, ma sempre meno sostenibile, tanto che Sarkozy e Cameron stanno accarezzando l’idea, nell’ambito della nuova «Entente cordiale» per la Difesa, di dividere parte dei costi, per lo meno quelli per la ricerca e l’aggiornamento delle armi. La Cina, ultima potenza atomica ufficiale, tiene invece le sue 240 testate tutte «in riserva». Resta il capitolo, più inquietante, delle potenze che il Trattato di non proliferazione non è riuscito a fermare. «India e Pakistan - si legge nel rapporto - continuano a sviluppare nuovi sistemi balistici e tattici capaci di portare testate atomiche». Gli ordigni sono in crescita: da 60-80 a 80-100 per New Delhi, da 70-90 a 90-110 per Islamabad. I due storici rivali, che hanno combattuto già tre guerre, continuano anche a «espandere le capacità di produrre materiale fissile», cioè plutonio e uranio per fabbricare altre bombe. E il Pakistan, con una guerra interna e gruppi islamisti agguerriti, inquieta ogni anno di più. L’altra potenza «non ufficiale» è Israele che mantiene, secondo il rapporto, le sue 80 testate tutte «in riserva». Sipri non conteggia invece le eventuali, ma probabili, testate della Corea del Nord. Il totale è quindi di 5027 bombe pronte all’uso e circa 15.500 in riserva. Mantenere un arsenale atomico costa decine di miliardi l’anno, poco però in rapporto a quanto si spende in armi convenzionali, 1600 miliardi di dollari l’anno, quasi come l’intero Pil dell’Italia. La cifra, nel 2010, è cresciuta dell’1,3 per cento rispetto all’anno prima. Gli Stati Uniti fanno sempre la parte del leone, con il 43% del totale, pari a 688 miliardi, seguiti molto da distante dalla Cina, che, pur in rapida crescita, si ritaglia un 7 per cento, 112 miliardi. La Russia è al quinto posto. Stati Uniti e Russia sono però le nazioni che guadagnano di più dalla vendita di armi convenzionali, con rispettivamente il 30 e il 23 per cento della torta globale. I clienti migliori per Washington sono Corea del Sud, Australia, Emirati Arabi e Arabia Saudita. Per Mosca, Cina e India i maggiori importatori di armi, che comprano soprattutto aerei, il settore con il maggior fatturato. E infatti la Lockheed Martin americana e la Bae Systems britannica, grandi costruttori di caccia, sono le due aziende che vendono più armi al mondo. Su cento imprese leader 45 sono statunitensi, 33 dell’Unione europea. Seguono le russe. Un ultimo capitolo è dedicato dal rapporto Sipri (su www. sipri.org) alle missioni di pace, «che si stanno sostanzialmente trasformando in counter-insurgency». Se si tolgono dal totale l’Afghanistan e l’Iraq, conclude il rapporto, la tendenza alla crescita delle missioni di peacekeeping che aveva caratterizzato gli anni 2000 è «finita». Diminuiscono gli uomini e i Paesi coinvolti, peggiora la salute della pace mondiale.