Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

A ogni clic sporchi il pianeta - Un clic per cercare il film giusto, una decina per sfogliare le recensioni di chi l’ha visto prima di te, uno per noleggiarlo e poi due ore con il pc acceso sulle ginocchia, la pagina Facebook aperta per poter commentare le immagini

A ogni clic sporchi il pianeta - Un clic per cercare il film giusto, una decina per sfogliare le recensioni di chi l’ha visto prima di te, uno per noleggiarlo e poi due ore con il pc acceso sulle ginocchia, la pagina Facebook aperta per poter commentare le immagini. Difficile da credere, ma anche la più tranquilla delle serate casalinghe può aiutare ad uccidere il pianeta. Per anni abbiamo pensato che bastasse sostituire la posta elettronica alle vecchie lettere stampate su carta e i documenti in pdf alle dispense per dare una mano all’ambiente. Bene, non è così: una semplice ricerca online sprigiona da uno a 10 grammi di anidride carbonica. E’ come scaldare una tazza di té con un bollitore: un piccolo ma significativo contributo al riscaldamento globale. Fame spaventosa Internet ha fame, una fame spaventosa: oggi brucia dal 2 al 3% dell’energia elettrica mondiale e il tasso cresce a un ritmo vertiginoso. Se la Rete fosse un Paese, sarebbe al quinto posto tra quelli che consumano di più, davanti a Germania e India. Un Paese, tra l’altro, iperattivo, e in espansione continua: ogni giorno le ricerche su Google sono un miliardo, gli aggiornamenti di Facebook 60 milioni, i messaggini su Twitter 50 milioni, le mail più 250 miliardi. A tradire la «promessa verde» della Rete è la mole gigantesca di informazioni che i colossi del Web devono custodire ed elaborare in continuazione. Pensate ad una ricerca su Google: basta digitare una parola, aspettare due decimi di secondo e si apre un mondo. Ma per ottenere una pagina di risultati si devono mettere in moto almeno mille server, custoditi in data center grandi come centri commerciali, stipati di computer al lavoro 24 ore su 24. Computer che vanno alimentati, ma soprattutto raffreddati per evitare che vadano in tilt, con un investimento energetico spaventoso. E gli investimenti sulle rinnovabili, terra promessa anche per il settore della tecnologia, fino ad oggi sono rimasti al palo, o quasi. Il primo dei cybercolossi a finire nel mirino degli ambientalisti è stato Facebook, che ha costruito in Oregon due enormi centri dati alimentati a carbone. Insieme consumano quanto 80 mila case americane: in pratica, una cittadina. Sulla Rete è partita la campagna «Facebook ci piaci verde»: una mobilitazione con tanto di azione dimostrativa davanti alla sede del social network orchestrata da Greenpeace per chiedere un cambio di rotta al fondatore Mark Zuckerberg. Finora, nessuna risposta. Ma sul banco degli imputati c’è anche la Apple di Steve Jobs: il centro che sta per aprire in North Carolina, 46 mila metri quadrati, ha bisogno di 100 megawatt di potenza: appena il 5% - stima l’associazione ecologista - arriva da fonti rinnovabili. Non soltanto social network, tra i cattivi, comunque: per la società di antivirus McAfee l’elettricità che ogni anno serve per spedire le e-mail è la stessa necessaria ad alimentare due milioni e mezzo di case e produce i gas serra di tre milioni di auto. A guidare la lista dei virtuosi, invece, c’è Google: il suo data center costruito in una vecchia cartiera degli Anni 50 ad Hamina, in Finlandia, è diventato un caso di scuola: costato 200 milioni di euro, è a bassissimo impatto ambientale ed è raffreddato ad acqua marina. «E si può applicare la stessa logica su qualsiasi scala di grandezza», ragiona Urs Hoelzle, dirigente dell’azienda di Mountain View. «Ambiente ed energia possono andare avanti insieme conferma Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia -. Google, inoltre, è stata convinta ad annunciare pubblicamente che taglierà le emissioni di CO2 del 30%. Una cifra importante». Anche Yahoo! si muove nella stessa direzione: il prossimo archivio dati sarà alimentato dall’acqua delle cascate del Niagara. Il rischio concreto è che ora con il «cloud computing», la nuova tecnologia che permette di accedere a musica e documenti dagli smartphone e dai tablet senza bisogno di hard disk e chiavette usb, la situazione possa peggiorare ancora: secondo una ricerca di Green Grid, l’elettricità consumata dal cloud - che stipa tutte le informazioni in giganteschi archivi - passerà dai 632 miliardi di chilowatt l’ora del 2007, l’anno in cui si è iniziato a parlare della «nuvola», ai 1963 miliardi del 2020. Svolta controcorrente Eppure c’è chi va controcorrente. La svolta verde paga, spiegano al «Vancouver Sun» i canadesi di GreenStar Network, che coordina una rete di aziende che si affidano solo a data center alimentati con energia rinnovabile, dall’eolico al solare. «Ci stanno contattando da tutto il mondo - dice Bill St. Arnaud, l’ingegnere che ha curato il progetto -. I centri puliti si stanno moltiplicando in fretta: siamo sbarcati in Europa e siamo pronti a raggiungere Africa e Cina». L’alternativa - conclude esiste ed è affidabile e sicura».