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 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

SINISTRA TELEVISIVA, L’OSSESSIONE DEL CAVALIERE

All’inizio furono i collegamenti di Samarcanda con le piazze, dove Sandro Ruotolo — «Michele, qui la gente è molto arrabbiata...» — trovava sempre qualche signore sovrappeso in canottiera che urlava: «Santoooro, il Sud ha seeete!» . E fu Umberto Bossi giovane, seduto sulle cassette di frutta, che da Legnano intercalava con il suo accento altolombardo: «Veda Lerner...» . (Racconta Stefano Balassone, uno dei padri di Raitre: «Quella fu una trovata perfida del regista, che fece sedere i notabili democristiani e comunisti sulle poltroncine di velluto e i leghisti sulla pancaccia di legno. Il pubblico era tutto per i "barbari"» ). Eravamo a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta. E la sinistra televisiva era nata. Raccontava la fine della Prima Repubblica. E un poco contribuiva ad affrettarla. Fin dall’inizio, si intuì quali sarebbero stati i grandi nemici. Berlusconi. E D’Alema. Il proprietario della tv concorrente, poi sceso in campo a prendersi pure quella pubblica. E il simbolo della sinistra postcomunista e neoriformista, impegnata a costruire un «Paese normale» anche dialogando («inciuciando» , nel gergo romanesco della tv) con il nemico. Prima ancora, i predecessori della sinistra tv erano giornalisti laici e artisti goliardi. I reportage del «socialista di Dio» Zavoli, non a caso ripescato da Walter Veltroni come presidente della commissione di vigilanza Rai. I faccia a faccia di Minoli. Le cartoline di Barbato. E L’altra domenica di Arbore, che lanciava uno sconosciuto comico pratese: Roberto Benigni. Poi vennero i comunisti. Il Pci morente ebbe la terza rete. Se ne occupò il figlio del Veltroni fondatore del primo telegiornale Rai, ritrovando gli amici del padre e sistemando un po’ di giovani di sinistra. Direttore di Rait r e divenne uno scrittore amico di Umberto Eco ed Edoardo Sanguineti, Angelo Guglielmi. Che a sorpresa tirò fuori un programma dopo l’altro. Chi l’ha visto, affidato a Guzzanti padre, che ancora oggi sopravvive nelle mani di un’ex del Tg3, Federica Sciarelli. Mi manda Lubrano, destinato poi a lanciare pure Marrazzo, atteso da ascese e cadute politiche. Esperimenti riusciti come Blob e altri di dubbio gusto come Cinico tv. Piero Chiambretti, vestito da postino, recapitava lettere agli indagati di Tangentopoli e una volta pure al Cossiga nel pieno delle esternazioni («il presidente mi ha dominato» riconoscerà lui). E Fabio Fazio a Quelli che il calcio mandava Paolo Brosio, non ancora folgorato dalla Madonna di Medjugorje, a chiedere ai newyorkesi attoniti dove mai andassero d’inverno le anatre di Central Park. Poi c’era la satira. La tv delle ragazze di Serena Dandini lanciò Francesca Reggiani, Cinzia Leone che faceva il verso a Daniela Fini ancora sposata a Gianfranco non ancora divenuto sincero democratico, Stefano Masciarelli che evocava il Maurizio Mosca del Processo del lunedì, Maurizio Crozza che aveva ancora qualche capello ma già duettava con Carla Signoris. E i figli di Guzzanti. Corrado demoliva Rutelli, presentandolo come un Alberto Sordi minore: «A Silvio, ricordate degli amici...» . E Sabina prendeva di mira i due cattivi: Berlusconi e D’Alema. Anzi, «Dalemoni» . Occhetto fu da Raitre molto coccolato: l’Amazzonia, Chico Mendes, la sinistra dei club, le autocritiche da Santoro con le lacrime agli occhi e il baffo fremente per le tangenti rosse. D’Alema fu sempre malvisto, con alcune eccezioni: l’altra salernitana Lucia Annunziata, pur proveniente dal movimento a sinistra del Pci, e Bianca Berlinguer, anche per ragioni dinastiche. A D’Alema non fu mai perdonata la Bicamerale e la ciambella di salvataggio lanciata a Berlusconi. Il gusto per il kitsch, il senso della merce, il feeling con il telespettatore consumatore: già prima della discesa in campo, il Cavaliere era l’arcinemico. Balassone lo paragonò al serial killer del Silenzio degli innocenti, che nella scena finale, mentre Jodie Foster brancola nel buio, grazie agli occhiali per la visione notturna ci vede benissimo. Dal canto suo, Berlusconi non ha mai nascosto di detestare due cose al mondo più di ogni altra: il Pci e la tv pubblica. Logico che la sinistra televisiva diventasse la sua ossessione, dall’editto di Sofia all’epurazione milionaria dell’altro ieri. Ma, nonostante i vari tentativi (Socci, Masotti, Paragone, Sgarbi), un vero anti Santoro Berlusconi non l’ha mai trovato; al punto da prendersi a Mediaset, per una breve stagione, quello vero. A Raitre c’era anche il Giuliano Ferrara di Linea rovente. E fu proprio lui a definire Telekabul il Tg3 di Sandro Curzi. «Pessimo giornalista, grande direttore» secondo la definizione di Guglielmi. Il telegiornale de sinistra dava spazio non solo a Cossutta e a Bertinotti, ma pure alla Lega e al Msi; alle forze antisistema, ma più in generale a quanto di nuovo accadeva nel Paese. E se Santoro si collegava con le piazze del Sud, Lerner prima fece Profondo Nord, poi nell’estate del ’ 92, in vacanza a New York, ricevette una telefonata di Guglielmi e Balassone che gli proponevano una striscia quotidiana: era Milano Italia e avrebbe raccontato la fine di un mondo, in parallelo con il settimanale satirico Cuore di Michele Serra, oggi autore di Fazio. Poi è venuto il tempo delle guest star, Travaglio e Saviano. Alla fine la dicotomia imposta da Berlusconi — o con me o contro di me — ha fatto sì che fossero considerati di sinistra non solo il talk di Giovanni Floris e quello di Lilli Gruber— divenuta anche europarlamentare come pure Santoro e Sassoli — ma pure Mentana, fondatore del Tg5, e la Bignardi, che aveva condotto (molto bene peraltro) la prima edizione del Grande fratello. E ora che l’era di Berlusconi volge al tramonto, anche la sinistra Rai si prepara a uscire di scena. O a traslocare nel terzo polo, che non si chiama più Telesogno ma La7; e sarebbe davvero una nemesi se a comprarla— come dicono tutti, anche se probabilmente non accadrà mai— fosse Carlo De Benedetti, con i soldi del Cavaliere.
Aldo Cazzullo