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 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

Record di laboratori improduttivi - Sono in molti a sostenere che le riforme non possono essere condotte a costo zero, in particolar modo quelle che riguardano il sistema pubblico della ricerca

Record di laboratori improduttivi - Sono in molti a sostenere che le riforme non possono essere condotte a costo zero, in particolar modo quelle che riguardano il sistema pubblico della ricerca. Sbandierando il semplicistico modello lineare ricerca=innovazione=sviluppo, ogni proposta di taglio alle spese in ricerca viene condannata come un attentato al futuro del Paese. La crisi economico-finanziaria che l’Italia attraversa, e i conseguenti sacrifici che i cittadini sono chiamati a sostenere, offrirebbe in realtà l’opportunità di intraprendere interventi nel sistema ricerca, tanto coraggiosi quanto dovuti, che non solo libererebbero risorse per un’allocazione più efficiente e l’ingresso di giovani meritevoli, ma indurrebbero anche maggiore equità sociale. Per formulare un’adeguata terapia è necessario, però, togliersi la maschera della demagogia e condurre una diagnosi quanto più oggettiva del nostro sistema ricerca. Coloro che da sempre invocano un maggiore impegno del governo italiano (di qualsiasi colore) nella spesa in ricerca dovrebbero assumere consapevolezza che il finanziamento pubblico non solo non è basso: 0,53% del Pil (valore medio 2004- 2008), contro lo 0,55% di Giappone e Gran Bretagna, ma, forse, è da ritenersi addirittura eccessivo, se valutato rispetto alla capacità di assorbimento dei risultati del sistema industriale. Non tutti i ricercatori pubblici italiani, però, ripagano lo sforzo del contribuente. Nelle scienze cosiddette «dure», tra il 2004-2008, il 23% degli accademici ha realizzato il 77% degli avanzamenti scientifici complessivi del sistema universitario. In particolare, circa il 17% del personale di ricerca delle università non ha prodotto alcuna pubblicazione su riviste censite ISIWeb of Science e circa l’8%, pur avendo pubblicato, non è stato mai citato. Questo significa che, tagliando circa il 25% delle spese di ricerca associate agli improduttivi, il progresso scientifico e tecnologico non subirebbe praticamente alcun contraccolpo. Allo stesso tempo si restituirebbe un po’ di giustizia sociale al contribuente, in particolare a coloro che, pur vivendo al di sotto della soglia di povertà, contribuiscono a sostenere le spese in ricerca degli improduttivi attraverso le imposte sul valore aggiunto dei pochi beni primari che consumano. Intervento senza dubbio coraggioso, in quanto al coro unanime delle forze politiche e sindacali di qualsiasi colore contro l’elusione ed evasione fiscale fa eco l’assordante silenzio dei medesimi soggetti rispetto all’ argomento tabù dell’elusione ed evasione del lavoro nel mondo della ricerca pubblica. Affinché i risultati della ricerca pubblica si trasformino in innovazione e, quindi, in sviluppo socio-economico, è necessario poi che il sistema produttivo li sfrutti. Il rapporto medio 2004-2008 tra spesa industriale in ricerca e spesa pubblica è però 0,91 in Italia, contro 1,40 in Gran Bretagna; 2,25 negli Usa; 4,68 in Giappone; e 1,57 nei 27 Paesi dell’Unione Europea. La domanda industriale italiana di risultati di ricerca pubblica è, rispetto all’offerta, molto inferiore a quella di altri sistemi nazionali. Un’indagine nei settori hi-tech ha mostrato che per il 33% dei risultati di ricerca pubblica con possibili applicazioni industriali non esistono imprese italiane in grado di sfruttarli. Delle due l’una, quindi: o si formulano serie politiche industriali e della ricerca coerenti e integrate o si abbia il coraggio di tagliare quei filoni di ricerca di cui possono beneficiare solo imprese straniere. La fuga di cervelli che tanto allarma è, in realtà, solo la punta di un iceberg costituito, nella sua parte preponderante, da quella nuova conoscenza d’interesse industriale che, attraverso uno sproporzionato numero di pubblicazioni rispetto alla bassa intensità di brevettazione del sistema di ricerca pubblico, migra libera (e gratis) oltre confine. I pesanti tagli a settori prioritari quali sanità, cultura, welfare che la crisi ha imposto chiedono anche al settore ricerca di fare la sua parte: non tagli trasversali e indiscriminati, però, bensì dei rami secchi e improduttivi, contestualmente al reinvestimento di una parte dei risparmi per le attività dei «top scientists» e per l’inserimento di giovani meritevoli. Una riforma a saldo netto positivo che, diminuendo la spesa totale, aumenta contestualmente quella per i più meritevoli e per l’inserimento dei giovani. Una riforma dovuta, foriera di maggiore equità sociale e sviluppo, ma assente dalle agende di tutti gli schieramenti politici.