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 2011  giugno 08 Mercoledì calendario

SIRIA, ASSAD SCATENA LA REPRESSIONE. CARRI ARMATI VERSO LA CITTA’ RIBELLE

Tassista: «Lo vedi quel signore con i baffi? Lo conosci? Lo ami?» . Bambina: «...» Tassista: «E’ il dottor Bashar, un medico degli occhi. Hai male agli occhi?» . Bambina: «...» Madre: «Certo, che lo conosci. Che cosa ti insegnano a cantare le maestre?» . Bambina: «Allah,Siria,Bashar» . Tassista: «Dio onnipotente, anche chi sta imparando a parlare già pronuncia il suo nome in adorazione» . Durante quella corsa in auto per le strade di Damasco— racconta la madre, anonima, al settimanale New Yorker— ho tremato. In queste settimane mia figlia va in giro per casa strillando gli slogan «Abbattiamo il regime» , «Allah, Siria, libertà» . Ho pensato: i tassisti sono quasi sempre spie. Ho pensato: niente paura, non possono toccare una bimba. Ho ricordato: e quelle foto dei ragazzini massacrati a Deraa? Quando ho visto che la piccola stava per riaprire bocca, le ho tirato una sberla. Stava seduta male, ho detto al tassista. Lei ha pianto per il resto del viaggio. Scesa dalla macchina, ho capito di averle insegnato quello che i siriani conoscono troppo bene: la paura. Ho deciso: non voglio che cresca come me. Abbattiamo il regime. ***I «fantasmi» indossano le tute di nylon, sembrano i Sopranos in un giorno di pausa dal crimine. Dietro le lenti degli occhiali da sole, gli sguardi non sono curiosi, neppure inquisitori. Solo rappresi, come le mani che stringono i bastoni. Gli uomini dei servizi segreti devono spaventare, ridirigere la gente verso casa. Terrorizzare: come i cecchini sui tetti che— sostengono gli attivisti — hanno l’ordine di sparare a un massimo di venti persone. E che gli altri scappino senza uscire più. Adesso che le colonne di blindati e carri armati stanno muovendo verso Jisr al-Shughour, il regime potrebbe aver deciso di togliere quel limite di venti. La città al confine con la Turchia sarebbe ormai deserta, i 40 mila abitanti fuggiti verso la frontiera. Ricordano ancora la strage negli anni Ottanta, quando Hafez Assad massacrò seicento persone, per cancellare la rivolta guidata dai Fratelli Musulmani. Il figlio ha ordinato la rappresaglia per vendicare i centoventi tra soldati e poliziotti che sarebbero stati ammazzati da «bande armate» durante le proteste del fine settimana. La versione è quella fornita della televisione di Stato, il presidente e il suo clan hanno bisogno del pretesto per intervenire ancora più duramente nel nord del Paese. Degli oltre mille civili morti dall’inizio della rivolta — secondo le stime delle organizzazioni per i diritti umani— 418 sarebbero stati uccisi nella provincia di Deraa, a sud, la città dove i cortei sono cominciati a metà marzo per contestare l’arresto di un gruppo di ragazzini (avevano dipinto sui muri della scuola scritte anti Assad). La ribellione si sta allargando e sta cambiando tattiche. A Jisr al-Shughour la resistenza alle forze di sicurezza sembra più organizzata, i dimostranti contrattaccano, avrebbero rubato le armi da un deposito. Wissam Tarif, attivista e blogger dell’associazione Insan, racconta che unità locali dell’esercito si sarebbero opposte agli ordini, non avrebbero accettato di sparare sui vicini di casa. La città è a maggioranza sunni- ta, come il resto del Paese, e la famiglia Assad ha piazzato gli ufficiali alauiti (la setta presidenziale, 12 per cento della popolazione) al vertice dello Stato maggiore. Maher, il fratello minore, guida gli uomini della Guardia repubblicana e controlla la Quarta divisione corazzata. Le operazioni per calpestare le manifestazioni sono affidate a lui e alle sue truppe d’élites. Come avrebbe voluto il padre, morto nel giugno del 2000, che ha sempre cercato di dirigerne gli impulsi feroci. Alain Juppé, ministro degli Esteri francese, invita Assad ad andarsene: «Ha perso la legittimità per governare» . L’emittente France 24 annuncia la defezione di Lamia Chakkour, ambasciatrice a Parigi, che avrebbe dato le dimissioni in disaccordo con la repressione. La diplomatica telefona ad Al Arabiya per smentire, la sua voce viene rilanciata dalla televisione siriana per tutta la sera. Il regime non vuole manifestare segni di cedimento. Gli annunciatori ripetono dagli schermi nazionalisti le concessioni del leader: l’amnistia per i detenuti politici, la fine delle leggi di emergenza in vigore dal 1962, la promessa di permettere la nascita di partiti (il sistema è dominato dal Baath). Mostrano i cadaveri dei manifestanti, a fianco un kalashnikov o una pistola, per confermare la teoria del complotto straniero che muove le bande di fondamentalisti (e nella sfida della contro informazione gli oppositori diffondono su Internet i video dei soldati che piazzano le armi vicino ai corpi). Cercano di smantellare gli eroi-martiri, offerti a una rivoluzione senza capi visibili dalla ferocia degli sgherri di regime. Hamza al-Khatib, il ragazzino riconsegnato alla famiglia cadavere mutilato dopo le torture, viene presentato dai notiziari come un pericoloso agitatore di vent’anni. Ne aveva tredici e amava salire sul tetto di casa a lasciar volare i piccioni viaggiatori che allevava.
Davide Frattini