Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Nella battaglia di ieri sera a Mumbai è rimasto ucciso anche un italiano, l’imprenditore di Livorno (ma nato a Roma) Antonio Di Lorenzo: s’era chiuso nella sua camera all’hotel Oberoi e in qualche modo una granata gli è esplosa ai piedi. Il figlio Massimiliano è riuscito a scappare nel nostro consolato. Ma è inutile chiedere notizie o ricostruzioni più precise: l’assalto, cominciato mercoledì sera, ha dato luogo a sparatore, bombardamenti e incendi durati per tutta la giornata di ieri. I morti accertati sono, nel momento in cui scriviamo, 125 e i feriti più di trecento. improprio parlare di attentato perché si è trattato di una vera azione di guerra. Trasportati da una nave fino al largo della città, un numero imprecisato di guerriglieri ha raggiunto il porto di Mumbay (l’ex Bombay) a bordo di gommoni. Telecamere piazzate per strade li hanno ripresi mentre si avvicinavano agli obiettivi, portando in spalla zaini pesanti e imbracciando mitra.
• Quali erano questi obiettivi?
Da quello che si capisce lo scopo dell’azione era questo: seminare il terrore nella zona della città con più turisti, cioè il lungomare, e ammazzare il maggior numero possibile di persone, specialmente se americani o inglesi (a un italiano è stato chiesto il passaporto ed è stato poi subito lasciato andare). In questo logica, l’attacco agli alberghi (il Taj Mahal Palace, l’Oberoi Tridenti) era ovvio. L’ultimo piano dell’Oberoi, dove un gruppo di miliziani s’era asseragliato tenendo in ostaggio 200 turisti, è stato incendiato. Tra gli stranieri però i morti accertati sono finora solo sei. Sono rimasti uccisi anche un capo della squadra antiterrorismo della sicurezza nazionale e 14 ufficiali di polizia. Fra i 300 feriti sette inglesi, tre americani e due australiani. Sette italiani sono bloccati all’Oberoi, una quarantina s’è rifugiato all’ambasciata. Tra i sette italiani bloccati c’è una donna con la figlia di pochi mesi. Questi italiani non sarebbero però prigionieri: semplicemente, nelle condizioni in cui si trova la città, non possono e non devono uscire.
• Perché ha detto "isalmisti"?
L’attentato è stato rivendicato dai Mujaiddin del Deccan, una sigla ignota. Questi Mujaiddin sono giovanissimi, dei ragazzini di 16-17 anni, votati alla morte, come è costume da molti anni per i seguaci di Osama.
• Sono seguaci di Osama?
Tutti gli esperti dicono di sì. Questa sigla del Deccan è una copertura, si tratta sempre di formazioni che si rifanno ad al Qaeda. E il problema, come al solito, è il Pakistan. Nel nord del Pakistan, al confine con l’Afghanistan, c’è quella terra di nessuno dominata da al Qaeda e dai Talebani, come sappiamo ormai alleati. Questa è la retrovia della resistenza afghana, finanziata dallo stesso Pakistan e specialmente dal suo servizio segreto Isi, che il nuovo presidente pakistano intende sciogliere. La tensione negli ultimi tempi è salita per varie ragioni. Lei ricorderà che in quel Paese non governa più Musharraf, ma un nuovo presidente che si chiama Asif Ali Zardari ed è il marito di Benazir Bhutto, assassinata un anno fa. Zardari è più filo americano (almeno finora) di quanto non lo fosse Musharraf e questo, per al Qaeda, è un primo problema. Anche l’India, però, si è avvicinata negli ultimi tempi agli Stati Uniti, che hanno a lungo corteggiato il Paese (per esempio togliendo l’embargo alle forniture nucleari verso Nuova Delhi) specialmente in funzione anti-cinese. Bush ha fortemente incoraggiato le imprese americane a fare affari con l’India, ad aiutarla a crescere economicamente e oggi l’India ha una percentuale di persone ricche che supera l’8 per cento dell’intera popolazione. Dunque, l’azione va vista prima di tutto in una prospettiva anti-americana. Poi in una prospettiva religiosa: l’India, patria degli induisti, è anche la seconda nazione musulmana al mondo, con 150 milioni di fedeli. In un altro massacro, perpetrato a maggio, venne preso di mira un tempio induista, ieri i siti islamici esultavano gridando: «Allah, fai morire gli induisti nel modo peggiore». Infine c’è la questione delle rivendicazioni territoriali, le tensioni dovute al Kashmir.
• C’è qualche rapporto con le voci che si sono diffuse in America, secondo le quali Osama preparerebbe un grande attentato negli Stati Uniti, forse in una metropolitana?
Sì, forse sì. L’insistenza con cui si colpisce in zone vicine al territorio di al Qaeda, però, potrebbe essere un segno di debolezza. Potrebbero non avere più la forza per un altro 11 settembre.
• E in Italia?
I nostri politici sembrano concordi: il pericolo esiste, ma non superiore a quello di un mese fa. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/11/2008]
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