Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  novembre 28 Venerdì calendario

Grazie a una interpretazione ad hoc e non per la prima volta, la Corte costituzionale elegge suo presidente un rispettabilissimo signore che però non potrà rimanere in carica per un triennio, come recita la Carta all’articolo 135

Grazie a una interpretazione ad hoc e non per la prima volta, la Corte costituzionale elegge suo presidente un rispettabilissimo signore che però non potrà rimanere in carica per un triennio, come recita la Carta all’articolo 135. Chi custodisce i custodi? Antonio Massioni, Milano Caro Massioni, Lei si riferisce alla recente elezione di Giovanni Maria Flick, ministro della Giustizia nel governo Prodi del 1996, giudice costituzionale dal 2000 e vice-presidente della Corte dal 2005. Eletto alla presidenza nelle scorse settimane, Flick rimarrà in carica effettivamente soltanto fino al 18 febbraio 2009. Aggiungo che l’art. 135 della Costituzione dice: «La Corte elegge fra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dell’ufficio di giudice ». Qualche giorno fa, rispondendo a un altro lettore, ho scritto che Flick, nel suo discorso d’insediamento, ha dato la sensazione di essere consapevole dell’esistenza di un problema irrisolto e ha sostenuto l’opportunità di affrontarlo. Altri lettori e commentatori, negli scorsi giorni, hanno scritto che la prassi delle brevi presidenze alla fine del mandato si spiegherebbe soprattutto con il desiderio di assicurare a tutti i giudici i privilegi di cui i presidenti continuano a godere dopo la fine del loro incarico. Ma sembra che i privilegi del presidente, se esistono, siano modesti ed è probabile che la ragione sia un’altra. I giudici si considerano tutti eguali e non desiderano che una lunga presidenza conferisca a uno di essi una particolare autorità. L’art. 135 parla di «triennio », ma la Corte, con una interpretazione discutibile, ritiene che il triennio debba essere interpretato come un limite insuperabile e che l’articolo non escluda la possibilità di presidenze più brevi. Se ho ben capito il loro pensiero, i giudici, in altre parole, dicono in sostanza: «Siamo una "Camera dei pari" e non abbiamo bisogno di un presidente che ci diriga, ci indirizzi, ci rappresenti e assuma progressivamente, grazie alle sue funzioni, un ruolo superiore a quello dei suoi colleghi. Ci basta qualcuno che "diriga il traffico" assicurando la buona gestione dei lavori e il rispetto dell’ordine del giorno ». Capisco il loro desiderio di essere considerati eguali, ma credo che una durata conforme allo spirito della Costituzione metterebbe fine a questi ricorrenti sospetti e darebbe alla Corte, nel rapporto con le altre istituzioni, una maggiore autorità. Se vogliono che l’indipendenza venga riconosciuta e apprezzata, i giudici possono raggiungere lo scopo reclamando per ciascun membro della Corte il diritto di dissentire pubblicamente dal giudizio della maggioranza. Credo che la prassi della «dissenting opinion», adottata dalla Corte suprema americana e suggerita da Flick nel suo discorso, possa contribuire alla qualità dei dibattiti e rendere i lavori della Corte ancora più visibili. Il giudice dissenziente dovrà argomentare le sue posizioni anche per la pubblica opinione e la maggioranza, a sua volta, dovrà scrivere una sentenza che appaia, alla luce del dissenso, ancora più convincente.