Fabio Pozzo, la Stampa 28/11/2008, 28 novembre 2008
Arcelor-Mittal, primo produttore di acciaio del pianeta, licenzierà entro gennaio 2.400 dipendenti del suo stabilimento di Burns Harbor negli Usa a causa del calo degli ordini, con un taglio alla produzione in Nord America del 40%
Arcelor-Mittal, primo produttore di acciaio del pianeta, licenzierà entro gennaio 2.400 dipendenti del suo stabilimento di Burns Harbor negli Usa a causa del calo degli ordini, con un taglio alla produzione in Nord America del 40%. Ma la siderurgia sta segnando rallentamenti ovunque, a partire dalla Cina, il numero uno al mondo tra i Paesi dell’acciaio. La recessione, insomma, è globale. Complice la contrazione dei settori che utilizzano gli acciai (auto, costruzioni, meccanica), da settembre il settore ha il fiato più corto, a causa della frenata degli ordini. Ben più corto degli ultimi 3-4 anni (dal 2004), durante i quali ha viaggiato con tassi molto alti. Così anche in Italia , secondo produttore europeo dopo la Germania, dove il comparto resta uno dei più importanti come contributo al pil e occupa 30 mila addetti diretti, centomila con l’indotto. Vantando gruppi come Riva, dodicesimo nella classifica mondiale, e Arvedi, che ha di recente raddoppiato la produzione grazie ad una rivoluzione tecnologica. Innovazioni che, se hanno aumentato il numero delle tonnellate prodotte rispetto ai siti produttivi, che invece sono diminuiti, ha di fatto ridotto il rapporto operaio/tonnellata, tagliando drasticamente la popolazione delle tute blu rispetto agli anni d’oro delle partecipazioni statali. Le industrie che «mangiano» acciaio, hanno ridotto la produzione, gli ordini alle acciaierie si sono ridotti e sono aumentati gli stock, dato quest’ultimo che induce a non comprare. La ripresa? A livello generale è prevista per la fine del 2009. E questo dovrebbe valere anche per l’acciaio. Anche se, più probabilmente la siderurgia ritroverà la tonicità perduta quando finiranno le scorte e l’industria tornerà ad acquistare. Quali saranno, nel frattempo, le ricadute? La produzione rallenta, su questo non ci piove. Ci saranno licenziamenti come per l’Arcelor-Mittel negli Usa? Gli analisti dicono di no e parlano piuttosto di un allungamento dei periodi di congedo, di cassa integrazione. Non si parla, invece, di chiusure di siti produttivi. E il caso di Piombino? L’altoforno di Lucchini fa parte del gruppo Severstal e il suo «spegnimento», per gli osservatori, non andrebbe visto nell’ottica della produzione nazionale, ma in quella delle strategie del colosso russo. L’Italia, per altro, ha una fortuna. Produce circa 31,5 milioni di tonnellate (nel 2007) per un controvalore di oltre 35 miliardi di euro, ma ciò non basta al Paese, che è costretto ad importare dai 7 ai 10 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno. La frenata degli ordini, va a rallentare soprattutto le importazioni, lasciando più ossigeno ai re dell’acciaio «nostrani». Fabio Pozzo