Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 28/11/2008, 28 novembre 2008
Siamo in mezzo a una crisi dovuta anche all’eccesso di credito, dato a tassi troppo bassi; ne usciremo, pare, erogando più credito, a tassi più bassi! L’auto sbanda a destra e a sinistra, incapace di andar dritto: ora sterza per evitare il baratro, ma così prepara la prossima sbandata
Siamo in mezzo a una crisi dovuta anche all’eccesso di credito, dato a tassi troppo bassi; ne usciremo, pare, erogando più credito, a tassi più bassi! L’auto sbanda a destra e a sinistra, incapace di andar dritto: ora sterza per evitare il baratro, ma così prepara la prossima sbandata. Stiamo abbandonando - con la caduta del rigore deontologico e il trionfo dei conflitti di interesse - regole di civiltà professionale costruite nei secoli. L’eccezione si fa norma. Il Minsky moment - quello in cui, per il professore di St. Louis, la bolla speculativa prima si gonfia e poi scoppia - diventa un’era; si oscilla fra la lotta alla deflazione oggi e all’inflazione domani. Nel quadro di forzato abbandono delle regole stanno mosse inaudite, come l’ultimo piano Usa da 800 miliardi di dollari. Gli aiuti di stato alle banche sono deleteri per il mercato unico, ma la UE li deve trangugiare con un flebile documento. Va dato, dice Bini Smaghi (Bce), almeno un assetto omogeneo agli aiuti in Europa, fermando la corsa al sostegno dei campioni nazionali. Angela Merkel critica a ragione l’eccessiva largesse degli Usa, ma sbaglia ad opporsi a soluzioni coordinate. Bisogna conciliare - lo scrive G.P. Galli sul «Sole 24 Ore» - il funzionamento del mercato finanziario con la ormai chiara mancanza del suo essenziale presupposto, la possibilità del fallimento. Il piano italiano, atteso ad horas, soffre della riluttanza dei soccorritoriche hanno mezzi scarsi - a definire modi e quantità dell’aiuto, e dei salvandi (timorosi dello «stigma») ad invocarlo. Va sciolta una questione di fondo: questi piani servono a far ripartire il credito bloccato, o a rimpolpare un capitale tirato? Se deve ripartire il credito, allora sottoscrivano gli Stati nuove azioni a prezzo di mercato. la soluzione giusta, ma da noi non si farà, per tema di ingerenze politiche nella gestione. Tanta fiducia nei privati stupisce; di qui la probabile scelta di titoli «ibridi» con rendimenti di mercato, conteggiabili nel Core Tier 1, che misura la solvenza della banca. I conti però non tornano, tali fondi non potrebbero essere prestati intorno al tasso Euribor. La verità è che ora servono i soldi, poi si vedrà. tempo di Keynesismi hard; i privati, in fuga dal rischio, prestano, a tassi bassi, allo Stato, che col ricavato compra gli ibridi. Ciò protegge dalla diluizione gli azionisti, non proprio un ceto bisognoso. Di norma se alle banche serve capitale lo chiedono, a prezzi di mercato, agli azionisti; ma questi, che i soldi li hanno, scappano dal rischio verso la qualità, o quella che tale pare al gregge investitore. In attesa che esso si svegli alla realtà del crescente rischio insito nel debito, specie pubblico: l’inflazione. S’è creata ovunque una pericolosa attesa di sempre nuovi sussidi pubblici che va bloccata: ricordiamocene nel disegnare il sostegno alle banche. Che fare, in attesa di un coordinamento UE? Secondo il sito Breakingviews il costo reale degli interventi altrui varia dal 5-7% della Francia all’8% dei titoli Citi sottoscritti dal governo Usa, al 12% di olandesi ed inglesi, fino al 17% di interventi privati in banche Usa e Uk. Da noi lo Stato potrebbe sottoscrivere, come soluzione di compromesso, titoli ibridi convertibili - con un rendimento vicino al 10% e crescente dopo un paio d’anni per incentivare il rimborso - per cifre uguali a paralleli impegni degli azionisti delle banche. difficile, e neanche augurabile, che questo faccia ripartire il credito a tassi bassi: chi se lo merita deve trovarlo, ma non ai tassi della bolla. La gestione spetta alla banca, non al Palazzo, e se si impone un tasso politico, la merce sparisce. Tremonti potrebbe anche ripescare sue antiche proposte, e sostituire con fidejussione statale gli aumenti di capitale, ricordando alla UE che - se proprio vanno mutate le regole - anziché sospendere il «mark to market» è meglio tollerare, dati i tempi, un Tier 1 più basso. Qualcuno penserà poi anche a come recuperare l’investimento? Nel mondo esso supererà i 500 miliardi, ma se ne esce anche via perdite. Il Regno Unito s’è portato avanti, perde già parecchi miliardi sui suoi investimenti nelle banche. Gli aiuti pubblici vanno, infine, condizionati a una forte spinta per la concorrenza - troppo flebile nel settore dando retta ai rilievi dell’Antitrust. Evitiamo di inumare le buone regole del capitalismo: è dura, dopo averle sepolte, riesumarle per imporle ai percettori di bassi redditi, quando sarà indispensabile, come nell’asperrimo ’93, chiedere loro nuovi e duri sacrifici.