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 2008  novembre 28 Venerdì calendario

Malgrado la sua celebre democrazia e una crescita economica che suscita molta ammirazione, l’India resta un paese violento

Malgrado la sua celebre democrazia e una crescita economica che suscita molta ammirazione, l’India resta un paese violento. Non di rado, in diverse città indiane, vengono piazzate bombe nei mercati, stazioni ferroviarie e altri luoghi affollati. Nonostante ciò, l’attacco a Mumbai, la capitale finanziaria del paese, ha causato un profondo sconcerto, non solo all’estero, ma nella stessa India. A differenza del terrorismo «normale», in questo caso si è avuta l’impressione di essere invasi da un esercito ben organizzato, con l’impiego di mitragliatrici, granate e la presa di ostaggi in più punti simultaneamente. L’unico avvenimento paragonabile negli ultimi anni è stato l’attacco da parte di uomini armati e attentatori suicidi contro il parlamento indiano a Nuova Delhi, nel dicembre 2001, che portò India e Pakistan sull’orlo di una guerra, l’anno successivo, quando gli eserciti dei due paesi si mobilitarono da entrambi i lati del confine. Considerando poi che tutti e due i paesi sono potenze nucleari, si sono vissuti momenti terribili. E’ proprio il pericolo di una riedizione degli eventi del 2001-02 a dare un significato internazionale ai recenti attentati, ben al di là del fatto che siano stati colpiti alberghi di lusso e turisti stranieri. Sugli autori materiali delle stragi sono filtrate ben poche informazioni, oltre alla dichiarazione del primo ministro indiano, Manmohan Singh, che l’attacco è stato organizzato all’estero, il che in India equivale a dire Pakistan. Ma l’accusa potrebbe non corrispondere al vero: una misteriosa cellula locale, autodefinitasi i «mujaheddin della Decca», si è assunta la responsabilità degli attacchi, verificatisi in seguito a denunce di maltrattamenti subiti dai musulmani per mano della polizia indiana. Tuttavia, basterebbero le parole del primo ministro a scatenare temibili conseguenze. Durante gli ultimi due mesi, il nuovo presidente pachistano, Asif Ali Zardari, democraticamente eletto, ha fatto sforzi sorprendenti e coraggiosi per migliorare i rapporti con l’India. Ha definito «terroristi», anziché «combattenti per la libertà», i militanti islamici del Kashmir, il territorio conteso tra i due paesi, dove ancora nel 1999 si erano avuti scontri a fuoco. Ha inoltre auspicato l’apertura dei confini, tuttora chiusi, al fine di favorire gli scambi commerciali verso un’unione economica. L’India ha accolto con sorpresa questi generosi approcci, ma lo stesso esercito di Zardari, e i vari gruppi fondamentalisti islamici del Pakistan, ne sono rimasti scandalizzati. Se gli attentati di Mumbai sono stati realmente organizzati da non indiani, è probabile che intendano spingere l’India a rigettare le proposte del presidente Zardari, o a screditare del tutto le sue iniziative. Un altro motivo possibile è da ricercare nelle elezioni politiche che si terranno in India nei prossimi mesi, dove già si prevede la vittoria del partito nazionalista indù, il BJP (Bharatiya Janata Party). Il terrorismo potrebbe spingerlo verso posizioni anti-islamiche estreme. Sono due le conclusioni che il mondo esterno, l’Europa e l’America, dovranno trarre da questa tragedia. La prima è la semplice constatazione che i cosiddetti «giganti emergenti» dell’Asia sono al contempo molto più vulnerabili e instabili di quanto possano suggerire, da un lato, la recente crescita economica, e, dall’altro, gli entusiasmi e i timori suscitati dalla globalizzazione. L’economia cinese sta subendo un drammatico raffreddamento e l’aumento della disoccupazione rischia di innescare conflitti sociali. Anche l’India sta rallentando, ma la debolezza principale del paese sta nella fragilità delle sue istituzioni statali, specie la polizia, la magistratura e i servizi di sicurezza. L’incapacità della polizia nel prevenire gli attentati, e in particolar modo nell’identificare e processare gli autori di decine di attacchi precedenti, è un vero segnale di debolezza nazionale. L’altra conclusione rimanda al Pakistan e all’intera regione così travagliata. Di questi giorni, l’attenzione è concentrata sull’Afghanistan e sul ruolo che vi svolgono le truppe della Nato. Questi attentati, proprio perché minacciano di seminare discordia tra India e Pakistan, ma anche per l’analogia con il terrorismo islamico in tutto il mondo, richiedono un’attenzione e una risposta ben più articolate. Il problema non riguarda soltanto i talebani e Al Qaeda, arroccati nelle inaccessibili aree di confine tra Afghanistan e Pakistan, ma è diffuso largamente nel centro e nel sud asiatico. Una soluzione a lungo termine deve coinvolgere tutti i paesi interessati: dall’Europa e l’America fino al Pakistan, all’India e alla Cina (per la storica amicizia con il Pakistan). traduzione di Rita Baldassarre