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 2008  novembre 28 Venerdì calendario

RICOSTRUZIONE BLITZ A MUMBAI

Guido Olimpio per "Il Corriere dela Sera"

Barat Tamore è convinto di averli visti arrivare. Erano a bordo di un gommone, una decina di giovani con dei grossi borsoni. Hanno accostato ad un molo del Badhwar Park a Colaba, sono scesi e poi si sono divisi in tre mini-team mentre due hanno ripreso il mare sempre sul battello. Erano da poco passate le 21.15, c’era poca gente nella zona. «Tutta colpa di una partita di cricket. Altrimenti molti altri si sarebbero accorti di quello strano sbarco», ha aggiunto Barat. Trenta minuti dopo, attorno alle 21.50, è iniziato l’inferno.

L’ASSALTO
I terroristi hanno agito come un commando di forze speciali, con buon coordinamento. A quelli arrivati dal mare si sono aggiunti altri, infiltrati in precedenza. In totale oltre una ventina. Fotografie e testimonianze li descrivono così: sui 20-25 anni, armati con Kalashnikov «corti», granate ed esplosivo. In spalla lo zaino.

E al polso uno strano braccialetto arancione, simile a quelli che a volte portano estremisti indù: un simbolo d’appartenenza religiosa, com’è stato letto da qualcuno, o magari un segno di riconoscimento tra terroristi? I gruppi di fuoco hanno colpito prima il Leopold Cafè a Colaba, poi il Taj Mahal Hotel, la stazione ferroviaria, l’albergo Oberoi, un commissariato, una sede di ebrei ortodossi, due ospedali, una sala multiplex.

Obiettivi soft in omaggio alla tattica del «terrorismo urbano ». Raid per creare molte vittime e gettare nel caos la città- simbolo dell’Asia. Poi hanno catturato gli ostaggi selezionando «americani e inglesi». Negli anni ’70 lo facevano i dirottatori facendosi consegnare i passaporti per scoprire passeggeri statunitensi e israeliani. Lo hanno poi ripetuto i qaedisti in Arabia Saudita «contando i cristiani ». Dunque nulla di nuovo, tutto ben spiegato nei manuali che circolano in certi ambienti integralisti.

Secondo fonti americane nei due hotel i terroristi hanno creato una sorta di «control room» o più probabilmente hanno messo un complice nella sala dove ci sono le telecamere a circuito chiuso. E per qualche ora hanno tratto informazioni anche dalla tv, che ha poi deciso di ridurre la copertura per non aiutarli. Ad aumentare la confusione ha sicuramente contribuito l’uccisione, nel primo scontro, del capo dell’antiterrorismo.


LA PREPARAZIONE
Il perfetto sincronismo e la rapidità con la quale hanno occupato i «bersagli» rivela un’ottima preparazione, un training che ha richiesto mesi e una ricognizione approfondita. possibile che gli estremisti si siano aiutati con le foto satellitari di Google Earth. Spie hanno invece studiato misure di sicurezza, controlli e il teatro operativo. Rispetto ad altri attentati è mancato l’elemento kamikaze, ma i protagonisti si sono lanciati comunque in una «missione di non ritorno » che aveva come principale obiettivo la presa di ostaggi. Una tattica ancora più preoccupante perché vuol dire che i criminali sono stati preparati a gestire una situazione difficile.

La dinamica ricorda l’assalto al Parlamento indiano nel 2001 compiuto da separatisti del Kashmir (la polizia ieri ha detto che tre degli arrestati appartengono al gruppo LashkareTaiba, che compì quell’azione) e fa sospettare un aiuto esterno. Il che comporta non solo un’eventuale sponda qaedista - gli obiettivi sono simili - ma anche pachistana. Un responsabile indiano non ha perso tempo per accusare: «Sono venuti dal Pakistan. Uno di loro ha parlato della crisi in Kashmir». La tesi è che l’Isi (l’intelligence di Islamabad) o una fazione interna, contraria a qualsiasi forma di distensione, abbia dato una mano agli estremisti. Attori locali con un’agenda regionale (Kashmir, separatismi, rivalità religiose) ed una proiezione internazionale. La cornice dove oggi si muove anche la vecchia Al Qaeda.


LA NAVE
Nelle ore successive all’attacco la Marina indiana si è lanciata sulle tracce di una «nave-madre», dalla quale sarebbero sbarcati, via gommone, gli assalitori. Due cargo pachistani - la Alpha e la Al Kabir - sono stati intercettati al largo e sottoposti a controlli. Sei mesi fa l’intelligence aveva evocato i rischi di un attacco dal mare a Mumbai, ma il segnale non ha prodotto effetti. Ancora più grave l’aver sottovalutato le informazioni raccolte dopo l’arresto di una cellula a Mumbai. C’erano indizi specifici su un’ondata di attentati pianificati dal ricercato numero uno, Abdul Subhan Qureshi, uno degli ispiratori che si nascondono dietro la firma «Mujaheddin». libero e tornerà ad agire.