Bernardo Valli, la Repubblica 28/11/2008, 28 novembre 2008
BERNARDO VALLI PER LA REPUBBLICA QUELLE ACCUSE AL PAKISTAN
Il solo effetto, immediato e forse provvisorio, del massacro di Mumbai è quello di avere riavviato la vecchia, storica, rivalità tra l’India e il Pakistan. E quando i sospetti tra le due potenze atomiche del subcontinente asiatico scivolano in una nevrosi acuta la situazione diventa inquietante. Dopo avere studiato il comportamento degli assalitori dei due grandi alberghi, il generale R. K. Hooda, comandante delle truppe indiane sul posto, ha detto perentorio che si tratta di gente proveniente «dall’altra parte della frontiera».
E ha precisato: «Forse da Faridkot». Vale a dire da un distretto del Punjab indiano confinante col Punjab pachistano. Un´area geografica in cui si sono svolte due delle tre guerre combattute dalla "partition" dal 1947 in poi, tra i due Stati nati in un bagno di sangue, alla fine del Raj britannico.
Ahmed Mukhtar, il ministro della difesa pachistano, si è affrettato a sostenere (con «grande fermezza») che il suo paese non è implicato nel massacro di Mumbai. E la sua era una appassionata perorazione in favore del tormentato processo di pace avviato quattro anni fa tra Islamabad e Nuova Delhi. Per carità! Implora Mukhtar, non compromettiamo il poco che abbiamo costruito. Questo non ha impedito a Manmohan Singh, il primo ministro indiano, di affermare che l´azione terroristica ha « legami con l´estero». Vale a dire con paesi vicini. E quando in India si parla di paesi vicini, in occasioni come questa, non c´è bisogno di precisare.
Ciò non significa che i sospetti siano fondati. Essi sono dettati da un´atavica reciproca diffidenza, alla quale sfuggono in India soltanto le (per fortuna) cospicue frange illuminate della popolazione indù (80%) e della popolazione musulmana (13,4%). I poliziotti del generale R. K. Hooda, in azione ai margini dei due grandi alberghi di Mumbai, hanno notato che gli aggressori armati di kalashnikov parlano in hindi e in urdu, due delle ventiquattro lingue ufficiali in India. L´urdu è invece la lingua ufficiale pachistana. Una lingua con accenti da accampamento militare. Indizio molto più interessante è il fatto che gli assalitori ridono spesso, si scambiano battute che in un altro contesto potrebbero anche suonare divertenti. Questo non è certamente lo stile del terrorista classico, kamikaze e dinamitardo. Del resto non risulta che siano stati usati esplosivi. Mentre, abitualmente, gli attentati (che l´anno scorso hanno fatto in India 2.700 morti) avvengono con ordigni lasciati nei mercati, spesso biciclette imbottite di Tnt o prodotti del genere. Altra singolarità è che gli aggressori abbiano preso di mira gli stranieri, i turisti ricchi, con particolare predilezione per inglesi e americani. Di solito le stragi uccidono gli autoctoni.
Questa rapida analisi conforta la tesi di coloro che non considerano il massacro di Mumbai un 11 settembre indiano, teso a destabilizzare una delle grandi potenze emergenti del XXI secolo. Secondo alcuni esperti, Al Qaeda ha riti più sinistri. I ragazzotti assassini che hanno assaltato il Taj Mahal, uno dei più celebri alberghi dell´Asia, vecchio di più di cent´anni, mitragliando gli sfortunati clienti, e con loro le superbe colonne d´onice e i soffitti d´alabastro, fanno pensare ai guerriglieri di uno degli ultimi romanzi di V. S. Naipaul. In "Magic seeds", lo scrittore nato da genitori bramini emigrati a Trinidad, descrive i giovani fanatici che in India scimmiottano gli idealismi ereditati dall´Occidente, in una versione locale. Nel caso di Mumbai una versione islamica.
Altri pensano tuttavia che non esista un rigoroso stile cui i terroristi si debbono adeguare. Non c´è un regolamento che impone il suicidio con dinamite. Né che fissa obiettivi umani precisi. Né che obbliga a rivendicare con sincerità le azioni appena compiute. L´identità dichiarata dagli aggressori di Mumbai lascia gli specialisti perplessi. Mai sentito nominare un "Deccan Moujaheedeen", stando alla denominazione inglese. Ci sono dei Mujahidin indiani che si sono attribuiti almeno duecento vittime nell´ultimo anno. Ma nessuno ha mai sentito parlare di Mujahidin del Deccan, zona vicino alla città di Hyderabad. Forse si tratta di affiliati agli Indian Muslims.
Le ipotesi si accavallano, si eliminano. Ma emerge puntuale quella che punta il dito sul gruppo Lashkar-e-Taba. Non l´avevo ancora citato. Si tratta di una guerriglia, forse nata anni fa in Afghanistan, alla quale l´intelligence pachistana ha sempre dedicato una particolare attenzione. Una guerriglia di solito interessata ai territori del Kashmir, disputati da India e Pakistan. Ma alla quale i servizi segreti russi attribuiscono, senza entrare nei dettagli, un legame con Al Qaeda. A quel gruppo, a Lashkar-e-Taba, pensavano comunque il generale R. K. Hooda e il primo ministro Manmohan Singh quando accennavano ai «legami con l´estero», senza nominare il Pakistan. Anche perché a quella guerriglia fu attribuita l´azione suicida contro il Parlamento di Nuova Delhi nel dicembre 2001. Ma quelli del Lashkar-e-Taba negano di avere a che fare con l´attacco agli alberghi di Mumbai. Restano quindi soltanto i sospetti. I quali non consentono di attribuire responsabilità precise. Per ora non si conosce la mano che ha mosso i ragazzi assassini di Mumbai. Il mistero è temporaneamente completo.
Dal groviglio di terroristi con stili e motivazioni diverse si può tuttavia trarre un´idea. La cancrena islamista si sta espandendo attraverso correnti indipendenti nel subcontinente. E si può facilmente immaginare che, come un fiume, abbia la sua sorgente nell´Afghanistan, di cui il Pakistan è un fertile e frastagliato retroterra. E l´India, con il suo spesso violento mosaico religioso, è come la grande, immensa terra promessa. Al Qaeda è un´ispirazione più che un´organizzazione. Se, in quanto tale, dovesse ulteriormente avvelenare i difficili rapporti tra le due potenze atomiche, realizzerebbe quello che adesso ci appare un´orrenda utopia.