Federico Rampini, la Repubblica 28/11/2008, 28 novembre 2008
FEDERICO RAMPINI PER LA REPUBBLICA LA RICCHEZZA NEL MIRINO
L’India ancestrale delle faide religiose ha colpito selvaggiamente la sua figlia più splendida: Mumbai, la città-simbolo di una modernizzazione ammirata nel mondo. Un odio secolare si avvinghia alla più grande democrazia della storia e strangola la sua capitale economico-finanziaria. Il terrore aveva già insanguinato - 180 morti - ma fu una "strage povera", di pendolari, non colpì i pilastri del miracolo economico. Stavolta li hanno centrati tutti.
A cominciare dai due hotel Taj Mahal e Oberoi perennemente affollati da delegazioni confindustriali e bancarie, tappe obbligate per il Gotha del capitalismo planetario e per i turisti occidentali. Lì vicino: il Bombay Stock Exchange (una delle Borse più sfavillanti dei paesi emergenti prima del crollo di Wall Street), la Reserve Bank of India che gestisce il nuovo status internazionale della rupia, i quartieri generali di colossi multinazionali come Tata, Reliance, Infosys, Mittal. l´India che s´impadronisce di Jaguar e Land Rover; quella che si lancia nella conquista dello spazio. Bollywood, il nuovo centro dell´industria cinematografica mondiale. L´orrore assedia 13 milioni di abitanti in una megalopoli dai più alti tassi di sviluppo urbano del mondo, un porto sulle rive del Mare Arabico snodo dei nuovi traffici con Europa e Stati Uniti ma anche Golfo Persico, Corno d´Africa, sudest asiatico. Grande centro culturale, patria di artisti di avanguardia; Maximum City vibrante, caotica e seducente; covo di potentati mafiosi; lussuose ville delle star e baraccopoli immonde affiancate nella promiscuità. Mumbai è il concentrato della «Incredible India!», la nazione protagonista di un formidabile sviluppo materiale che ha liberato centinaia di milioni di persone dalla miseria ma ha visto aumentare le diseguaglianze sociali; ha raccolto con successo la sfida della globalizzazione ma ha subìto dei contraccolpi traumatici nel suo tessuto civile. Attaccando Mumbai si è voluto colpire il ponte fra Oriente e Occidente, un melting pot di influenze culturali e di relazioni d´affari, la patria di una nuova generazione sofisticata e cosmopolita che parla inglese come prima lingua: e che in queste ore è risucchiata in una barbarie arcaica, annichilita dai fantasmi del passato.
Da più di un millennio l´India è la terra di frontiera fra l´ultima grande religione politeista - l´induismo - e l´avanzata dei grandi monoteismi, il cristianesimo e soprattutto l´islam. Già sotto gli imperatori musulmani Moghul nel XVII secolo il subcontinente dimostrò fra quali poli estremi poteva oscillare: dall´armoniosa convivenza delle comunità di credenti sotto Akbar, al fanatismo di Aurangzeb che alimentò risentimenti inestinguibili fra gli induisti. Gli inglesi ereditarono l´odio fra indù e musulmani, lo sfruttarono per dividere i sudditi e controllare meglio l´impero coloniale; nell´epoca del puritanesimo vittoriano vi aggiunsero un proselitismo che diede anche al cristianesimo un piglio aggressivo. Il carisma spirituale di Gandhi realizzò l´unione fra gli indiani di ogni credo nella battaglia pacifica per l´indipendenza. Ma la fragile intesa si spezzò con la secessione delle regioni a più forte densità islamica, per creare uno Stato confessionale. La Partizione del 1947 fu accompagnata da atroci pogrom e carneficine: un milione di morti, 11 milioni di profughi, la più grande migrazione forzata della storia.
Sessant´anni dopo quelle ferite non sono mai state completamente sanate. La democrazia laica, tollerante e federalista, lo Stato di diritto, lo sviluppo economico, hanno fatto meraviglie nell´accomodare tutte le componenti religiose dentro la Repubblica indiana. Ma i 150 milioni di musulmani restano mediamente più poveri e meno istruiti. Anche se a maggioranza si riconoscono nella democrazia indiana, i bassifondi islamici di Mumbai trasudano di legittime recriminazioni. Con l´emergere del nuovo integralismo le madrasse che predicano l´odio - finanziate dai petrodollari sauditi - si moltiplicano anche a Mumbai. Di converso è tornato alla ribalta un prepotente nazionalismo indù con frange di stampo fascista, ben radicato nella casta braminica, capace di feroci violenze di massa contro i musulmani (o i cristiani).
Nella carne viva di Mumbai i conflitti antichi s´incrociano con le dinamiche del XXI secolo. I boss della mafia islamica di Mumbai gestiscono il narcotraffico via satellite dai loro superyacht al largo di Dubai, allacciano alleanze con i Taliban afgani, offrono coperture logistiche al terrorismo. Il Pakistan nucleare, coccolato dall´America come un alleato strategico nella lotta contro Al Qaeda, ha servizi segreti che dirottano gli aiuti di Washington per foraggiare la jihad in India. Lo stesso fanno i servizi segreti del Bangladesh. Per tutte quelle classi dirigenti islamiche che hanno fallito l´appuntamento con la modernizzazione, il successo dell´India è una insopportabile anomalia che va soppressa. Ma il fascino del fondamentalismo penetra anche in una gioventù colta, figlia dell´India hi-tech. un fenomeno globale: in mezzo a giovani élites completamente occidentalizzate nei costumi, s´infilano schegge di un fanatismo antico, viscerale e irriducibile. A Mumbai prendono di mira la parte più innovativa dell´India, ponte tra civiltà, snodo centrale di un nuovo ordine mondiale. La ripugnante caccia all´occidentale negli hotel Taj e Oberoi è un modo per cancellare tutto ciò che Mumbai rappresenta: dinamismo e cambiamento, società aperta, crogiuolo di una nuova identità multietnica. Dopo l´escalation di stragi nei mesi scorsi a Bangalore e Hyderabad, le due Silicon Valley dell´informatica, l´attacco più terribile ha bussato alle porte di Bollywood: vicino alla fabbrica dei sogni, vuole uccidere anche simbolicamente quella speranza indiana che tiene uniti un miliardo di esseri umani.