Stefano Malatesta, la Repubblica 28/11/2008, 28 novembre 2008
STEFANO MALATESTA PER LA REPUBBLICA DI VENERDì 28 NOVEMBRE
L´albergo della morte era un simbolo dell´India che fu.
Ricordo di un pomeriggio a Bombay (allora si chiamava ancora così), davanti a quello che era una volta l´imbarcadero della P. & O., Peninsular and Oriental Lines, quella che prendeva sempre Somerset Maugham quando andava nell´estremo Oriente a rovistare tra i panni sporchi dei coloniali inglesi. La pioggia portata dal monsone era finalmente arrivata, spazzando le strade con raffiche furiose, attesa dagli arabi che alloggiavano al Taj Mahal, come i cattolici attendevano che lo Spirito Santo calasse sulla loro testa, et maneat semper. Erano funzionari di ditte petrolifere del golfo o impiegati nelle banche di Abu Dhabi che trascorrevano le loro vacanze passeggiando sotto quell´acqua tiepida davanti al monumento chiamato Gateway of India con espressione di assoluta beatitudine. L´abbandonavano solo per dare un´occhiata alle ragazze indiane, quasi tutte segretarie, in ritardo sull´orario di lavoro, che attraversavano la strada con i vestiti bagnati e incollati sul corpo e diventati trasparenti. Qualche nave arrivava ancora dall´Europa. I turisti italiani si riconoscevano dall´ammirazione con cui guardavano la Gateway considerata la quintessenza dell´India imperiale, mentre era uno scadente monumento costruito negl´anni Venti e che stava a simboleggiare più che l´entrata, l´uscita degli inglesi dal Raj.
A Bombay ci sono sempre stati due modi di arrivare, come ci sono state sempre due Bombay, due città agli antipodi. Via mare, con la Valigia delle Indie, che si prendeva a Brindisi arrivando sulla costa indiana del Malabar dopo aver toccato Porto Said e Aden. Un viaggio lungo e tedioso, che gli inglesi fingevano di apprezzare moltissimo. Negli anni gloriosi dell´impero il ristorante di prima e il bar funzionavano da luoghi d´incontro dove le ragazze inglesi, figlie di coloni, trovavano un marito e i giovanotti senza arte ne parte potevano venire assunti per lavori precari come amministratori di nuovi piantagioni di té nell´Assam. Con l´intesa che sarebbero stati pagati al primo raccolto, ossia dopo quattro anni. Così loro avevano tutto il tempo per imparare a giocare a polo come aveva fatto Winston Churchill all´epoca in cui anche lui rappresentava la disperazione della famiglia.
Gli indiani arrivavano e continuano ad arrivare a Bombay via terra. Trecentocinquanta famiglie al giorno, quasi tutti contadini. La città che oggi supera i quindici milioni di abitanti, è sempre stata sovraffollata e già allora i giornali parlavano di settantamila accattoni che giravano per le strade chiedendo il solito pugno di riso. Ma lo stesso concetto dell´elemosina, che nella cultura indiana era sempre stato interpretato come un atto misericordioso e nobile che avvicinava due anime, quella che chiedeva e quella che dava, aveva preso un tono astioso per la moltitudine dei praticanti. Questi accattoni dormivano negli slums, ma per chiedere l´elemosina si spostavano nell´altra Bombay, quella dei grattacieli e degli uffici lussuosi dei produttori cinematografici che era contigua con la Bombay ereditata dagli inglesi, palazzi pubblici e imponenti e club come il Ripon, frequentato da anziani parsi, gli uomini più ricchi della città, che passavano le giornate facendo i conti nelle stanze ombreggiate sedendo su poltrone di cuoio rosso.
I nuovi venuti si trovavano ancora peggio degli accattoni perché per loro non c´era posto nemmeno nelle baracche dei quartieri periferici. Uno degli aspetti che agghiacciava di più gli europei freschi del Paese era il numero di quelli che dormivano per strada, centinaia di migliaia sopra l´asfalto che mandava dei riflessi azzurri quando pioveva, inquinato com´era di benzina. L´estrema povertà di questa gente e il loro numero sempre in crescita rappresentava già allora un incubo per la città e gli amministratori non avevano nessuna idea di come uscirne. Ricordo che fioriva un giornalismo apocalittico e il Times of India ogni settimana diceva che Bombay era sull´orlo del caos.
Anche i turisti avvertivano che la città era malata e dopo aver passato un giorno al mercato dei ladri si rintanavano negli alberghi cercando di non uscire più. Oppure partivano per Poona per visitare l´Ashram degli arancioni allora molto popolari in Europa, ma odiatissimi dagli indiani: una sorta di monastero dove ogni mattina il fondatore della setta, il Rajneesh, dopo l´apertura del terz´occhio posizionato sulla fronte, quello della saggezza, scendeva giù dalla sua lussuosa abitazione in cima alla collina su una Roll Royce bianca guidata dalla sua segretaria, con al polso un Rolex tempestato di brillanti per andare a diffondere il verbo presso i fedeli in inglese.
Anch´io ero partito da Bombay incuriosito da questo furbissimo professore universitario che sapeva come affascinare gli europei conoscendo tute le debolezze. Ma la prima volta venni bloccato da ragazze che mi avevano annusato per un quarto d´ora decretando che portavo odori sintetici sul mio corpo e non ero stato ammesso alla presenza del santo uomo. Ritornando a Bombay l´Ambassador con cui viaggiavo si scontrò con un´altra Ambassador che veniva dalla parte opposta per quell´abitudine che hanno gli autisti indiani di non tener conto del principio fisico dell´impenetrabilità dei corpi. E´ stato durante questo viaggio non comodo che ho capito che l´inerzia dei poveri perpetuata nel vizioso circolo del Karma e dall´ossequio di tutte le trimurti indiane stava per finire. E come quei ragazzi con i quali ho parlato per ore e che facevano parte delle caste più basse ma che dimostravano un orgoglio mai visto in precedenza avessero un´opinione assolutamente sprezzante della democrazia almeno così com´era praticata in India. Uno di loro, non so se il più intelligente ma certamente il più motivato, cercò di spiegarmi come la sinistra in India era una sinistra di ordine mentre quello che ci voleva per il Paese era il disordine. Non parlò di fondamentalismo ma di odio verso la casta di brahmini che aveva annacquato il messaggio di Gandhi fino a renderlo inutilizzabile. Gli accattoni potevano essere un´arma risolutiva per creare questo disordine. Tra qualche tempo sarebbe venuto il momento giusto per muoversi quando i Parsi che già stavano rallentando la presa economica nella città sarebbero partiti per l´Europa e per l´America. Il vecchio sistema era in crisi e una delle prove era il successo di Datta Samant, un dottore trasformatosi in sindacalista che alla fine degli anni Sessanta era diventato un eroe delle classi povere spingendo i lavoratori a una serie di scioperi. Se lui falliva, come era molto probabile, si aprivano strade impensabili per l´India. Non mi spiego quali, ma capivo che loro non avrebbero seguito gli itinerari ortodossi.