Pierangelo Sapegno, la Stampa 28/11/2008, 28 novembre 2008
PIERANGELO SAPEGNO PER LA STAMPA DI VENERDì 28 NOVEMBRE
Chiude l’altoforno Piombino si spegne
Adesso, il Quilici, la storia della sua gente la racconta da Radio Piombino, l’altoforno che si spegne, tutti questi operai in cassa integrazione, un mondo che sparisce, una città che cambia. Ma allora, quando venne Paolo Virzì a filmare «la bella vita», lui era il direttore di Canale 3, quello che faceva Massimo Ghini nel film, Jerry Fumo. E se venivi su questo promontorio a becco di pappagallo, per vedere il mare, ti inseguiva ancora una polvere di ferro e un fumo di panna fin sopra questo profilo. Adesso ti sembra più lontano, anche se forse non è vero. Ci sono pini marittimi, aree di servizio con rivendite di canotti, doppia carreggiata con le siepi divisorie, e gli spigoli dell’Elba di fronte a te, laggiù. Ma quando finisce un’epoca anche un cielo non ha molto senso. Bisogna vedere quello che non c’è, questo è il difficile. Renato Quilici ricorda che nel ”94 c’erano stati i licenziamenti in massa, i 40 giorni di sciopero, e la cassa integrazione come oggi. «Ma era tutto diverso - dice - perché allora le aziende sistemavano gli esuberi e ristrutturavano gli impianti, che ti facevano mangiare polvere nera. Oggi gli impianti producono di più e meglio. La città non è più inquinata e Piombino ha preso persino la bandiera blu per il mare pulito. Solo che ora è peggio, perché c’è il rischio di chiusura: non ci sono più commesse per lavorare».
Se a Piombino chiude l’Altoforno 1 della Lucchini, con 1600 operai, e a dicembre toccherà alla Magona, con altri 800, può darsi che tutto questo significhi soltanto «che dobbiamo reinventarci qualcosa», come dice Quilici, che forse sappiamo o forse no. Quando venne Virzì a girare «La bella vita», gli operai erano 8 mila. Oggi sono 3 mila. Domani, ne resteranno pochissimi. Anche se Thierry Le Gall, presidente della Magona, dice che loro chiudono solo un mese e cercheranno «di smaltire le ferie». E anche se la Lucchini, prima di questa botta di crisi, aveva fatto l’anno migliore della sua vita, con il record di lavoro. Le brutte notizie sono arrivate all’improvviso, così, piovute dal cielo.
Gianni Anselmi, il sindaco di Piombino, spiega che «i lavoratori in casa integrazione saranno più di duemila, un dramma per la mia città». E che non si intravedono spiragli almeno fino a marzo. Però quello che colpisce più di tutto è la tristezza di un mondo che finisce, la fabbrica con la sua caserma e le sue ciminiere, gli asili degli operai, la vita semplice degli stenti e dei sogni. «Perché puoi sognare quando hai qualcosa», come sospira il Quilici. «Non quando non hai niente».
Piombino è questa cosa qui, quasi indistruttibile, nostalgica, persino nei ricordi di Luca, che non fa più l’operaio da 3 anni, ma che conserva tutta la memoria di quando lo faceva: «Lo so che quei dinosauri della società industriale erano dei mostri. Ma ai nostri mostri siamo ancora affezionati». Sono rimasti intatti, davanti a noi: da una parte la calma raccolta del porticciolo, i pescatori, le barche, le reti messe ad asciugare, e dall’altra le collinette coniche di carbon fossile, le acciaierie grandi come montagne, la cokeria, e le cisterne di scarico, le pompe di alimentazione, i depositi di materiale, le fiammate dell’altoforno.
Tutto com’era quando arrivò Virzì per raccontare il dramma di un operaio nella crisi, abbandonato dalla moglie e dal lavoro. Venne qui da Quilici alla sede di Canale 3, dove girò il film, una palazzina a 200 metri dalla fabbrica. Tre stanze, con una redazione di scrivanie bianche di recupero, una regia con il solito tralicciato di scaffalature riempite da monitor e strumenti, e lo studio con la tribuna, dove Massimo Ghini faceva sognare Sabrina Ferilli. Gli dettero pure una parte a Quilici, alla fine, quando dice che prese il posto di Jerry Fumo. Invece, adesso, anche quella tv non c’è più. Quilici era un dirigente dell’Italsider. Aveva fatto il capo del personale. Prepensionato pure lui. Aveva aperto una osteria e poi era diventato direttore della tv. Ha i suoi anni ormai, 75, e oggi la radio la fa gratis. Ricorda quando negli Anni 60 venne Domenico Rea a fare un reportage qui, e parlò con un cameriere: «la cosa che lo colpì, scrisse, era il complesso di inferiorità che quello aveva per l’operaio della fabbrica. Adesso, per dirti quant’è cambiato il mondo, è come se fosse l’inverso. L’operaio ha paura di non esistere più».
Eppure la bella vita di Paolo Virzì è rimasta alla fine una realtà incompiuta, come se la metamorfosi, anche e soprattutto antropologica di Piombino, non fosse riuscita ad andare oltre alla scena finale del film, quando gli operai che hanno perso il lavoro costruiscono una capannina sul mare, prima di aprire il bagno, proprio per nascondere le ciminiere ai turisti. Sì, qualcosa è successo o sta per succedere, e lo si vede alla Sterpaia, fra i boschi di castagni e di lecci, nei quartieri ristrutturati, e in tutti quei progetti che dovrebbero riconsegnare alla natura le aree dismesse, allontanando la fabbrica dalla città. Ma è il cordone ombelicale che non s’è spezzato, e non è solo un’immagine che imprigiona la realtà, questa congerie indescrivibile di fabbriche vive o in via di rottamazione. E’ qualcosa di più. E’ il cuore di un posto, la sua storia, la sua vita.