Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Una brutta campagna elettorale. Un continuo scambio di insulti
Parliamo della campagna elettorale.
• Parliamone.
Cominciamo dalle speculazioni sul fatto di Macerata. Questi dicono che è colpa di Salvini e della sua propaganda all’odio, Salvini risponde che è colpa dei buonisti che hanno permesso ai negri africani di invadere il Belpaese. Si tratta di teorie che fanno cascare le braccia. Traini - adesso in isolamento nel carcere di Montacuto, lo stesso dove si trova Innocent Oseghale, il presunto massacratore della povera Pamela - è un povero fesso, con grossi problemi psicologici, montato dai suoi amici fascisti. Costruire - da parte sia di questi che di quelli - una qualunque teoria sociopolitica sulle sue imprese gravissime è l’ultimo stadio della speculazione politica. Tante volte in questa rubrica ho chiesto ai partiti se credono davvero alla cretineria di chi vota. Devo pensare che ci credono. E d’altra parte come si spiegherebbe altrimenti la promessa di regalie per 200 miliardi fatte da tutti quanti senza eccezioni? Persino Renzi, da cui ci aspettavamo un finale di campagna meno arruffone: se si sommano le cose che promette nei cento punti elencati l’altro giorno, e di cui ci saremo tutti dimenticati il 5 marzo pomeriggio, si ottiene la bella somma di 50 miliardi. E dove la prenderà il Pd eventualmente al governo in un anno in cui bisognerà o lasciare che l’Iva aumenti o mettere in piedi manovre per una cinquantina di miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia?
• Chi è il meno cialtrone di tutti quanti?
Non so rispondere. Sul piano degli inquisiti o impresentabili quello che ne ha candidati di meno dovrebbe essere il Movimento 5 stelle.
• Come! E il caso Dessì?
Dessì è quel tizio che abita in una casa popolare di Frascati pagando un affitto di 7 euro e rotti, che s’è visto in un video con i fratelli Spada e che s’è vantato di aver picchiato un rumeno. È effettivamente un brutto candidato, ma è anche vero che è praticamente un caso unico. Di Maio ha poi detto subito che uno così «non può stare con noi» e che se sarà eletto al Senato rinuncerà al seggio (disinteressiamoci, per ora, del fatto che rinunciare al seggio, una volta eletti, è molto complicato). Il candidato premier del M5s ha anche contrattaccato: «Ieri ho sentito dal segretario del Pd Matteo Renzi un’affermazione infamante del Movimento 5 Stelle: ha infatti detto che abbiamo candidato degli impresentabili nelle nostre liste. Siamo, invece, una forza politica che non solo vieta ai condannati di entrare nelle liste, ma anche in molti casi ai semplici indagati. Questo signore gli impresentabili li ha candidati lui». Segue elenco degli impresentabili che stanno sia a destra che a sinistra. A sinistra: il residente della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, «indagato a Pescara e all’Aquila in un’inchiesta sugli appalti regionali», il capolista del Pd nel collegio plurinominale del Senato in Liguria, «coinvolto nella vicenda dei rimborsi regionali», quattro candidati nel Lazio, tre candidati in Calabria «rinviati a giudizio nel luglio scorso», un altro imputato a Roma in un processo «per una storia di falsi appalti pubblici», l’assessore regionale all’agricoltura del Molise, «indagato nell’ambito di un’inchiesta sui Progetti edilizi unitari», il «De Luca junior candidato a Salerno che siccome segue le orme del padre non solo per quanto riguarda la carriera politica, imputato per bancarotta fraudolenta, il sottosegretario ai Trasporti, Umberto Del Basso De Caro, indagato per «tentata concussione», Franco Alfieri, sempre in Campania, «quello che prometteva fritture in cambio di voti con la benedizione del governatore campano», il ministro Luca Lotti «indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio nel caso Consip». A destra «fanno a gara tra di loro sugli impresentabili». «Luigi Cesaro, Antonio Angelucci, condannato in primo grado per i contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani Libero e Riformista, Ugo Cappellacci e Michele Iorio, Formigoni, condannato per corruzione a sei anni e imputato in altri processi, oltre allo stesso Bossi, condannato a 2 anni e 3 mesi per aver usato soldi provenienti dalle casse dello Stato a fini privati».
• Ma i partiti, a candidare gente come questa, non hanno paura di perdere voti?
I partiti sostengono che la maggior parte di questi qui è solo indagato e che nessuno è stato condannato in via definitiva. C’è poi un’altra certezza: il discredito in cui versa la magistratura, non diverso da quello dei politici, toglie a queste condanne o imputazioni gran parte del loro peso. Anche per quanto riguarda Berlusconi, che tecnicamente (citiamo Travaglio) «è un pluriprescritto per corruzione semplice e giudiziaria, per falso in bilancio e per compravendita di senatori avversari»: nessuno sembra fare più caso alle disavventure giudiziarie del passato. Nemmeno all’estero: il New York Times, carezzandolo a un tratto, lo ha definito «nonno della patria».
• Che cosa ha risposto Renzi alle bordate di Di Maio?
Che i cinquestelle hanno poco da stare allegri, se guardano in casa loro. «Caro Di Maio, quello che ancora non hai capito è che un avviso di garanzia non è una condanna. Non si diventa ’impresentabili’ per un avviso di garanzia o per essere indagati. Perché altrimenti per voi sarebbe un dramma. Perché tu, caro Di Maio, sei stato indagato. Perché il sindaco di Torino Chiara Appendino è indagata per omicidio colposo e falso. Perché il sindaco di Livorno Filippo Nogarin è indagato per omicidio colposo. Perché il sindaco di Roma Virginia Raggi non è solo indagata, ma direttamente a processo per falso. E perché da Bagheria alla Sardegna sono numerosi i sindaci a cinque stelle indagati».
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