il Giornale, 5 febbraio 2018
Vuoi una frase da duro? Leggi Plutarco
Gli antichi greci li chiamavano apoftegmi, li consideravano il sale della politica e della retorica e amavano raccoglierli. Cosa sono? La parola viene dal verbo apophtheggomai, «enunciare una cosa in forma definitiva», e indica una massima, spesso pronunciata da un personaggio importante e ritenuta così brillante da meritare di essere tramandata e riutilizzata alla bisogna. Erano davvero così efficaci? Winston Churchill ha modellato molti dei suoi discorsi più noti pescando dai repertori della letteratura classica greca e latina. Ora arriva in libreria il meglio del frasario raccolto dal più grande biografo dell’antichità, Plutarco (48 – 127 d.C.). L’autore delle Vite parallele nella sua opera principale aveva sciolto molti di questi memorabilia linguistici nella narrazione delle esistenze dei grandi, da Licurgo ad Antonio. Ma già allora si era accorto che il suo pubblico ne era troppo ghiotto e decise di raccoglierle. Ecco allora spiegata la genesi del volume che ora arriva in libreria, a cura di Carlo Carena: Detti memorabili. Di re e generali, di spartani, di spartane (Einaudi, pagg. 234, euro 28).
Mancava sino ad ora un’edizione italiana che separasse e rendesse comodamente fruibili e confrontabili queste schegge raccolte o inventate da Plutarco (del resto solo dall’anno scorso esiste una valida edizione dell’insieme dei Moralia fatta da Bompiani). La prima delle tre raccolte lo storico greco la dedicò direttamente all’imperatore Traiano, in modo che potesse farsi consigliare dai suoi pari, i monarchi precedenti. Ma che si tratti di questa o delle altre due, ciò che aleggia attraverso tutti i testi è il mito di Sparta. I lacedemoni, maschi e femmine, titolati e non, la fanno da padroni. Con accenti e toni non lontanissimi, se ci consentite un paragone molto pop, da quelli di un fumetto fantastorico come 300 (o dell’omonimo film).
Plutarco fa della durezza spartana (che pur sapeva eccessiva) strumento didattico, la parte di cultura greca più facilmente cucinabile in salsa romana. Del resto a quale centurione non starebbe simpatico lo spartano Agide? «Gli spartani non vogliono sapere quanti sono i nemici, ma dove sono». E Cleomene? A chi voleva vendergli dei galli pronti a morire combattendo: «No davvero, dammi di quelli che combattono e uccidono». Ad Agesilao (444 – 360 a.C.) poi vengono attribuite frasi che farebbero la fortuna di ogni sceneggiatore hollywoodiano del genere Swords and sandals. Alla domanda fino a dove si estendevano i confini della Laconia rispode, brandendo la lancia: «Fino a dove giunge questa». Il consiglio a uno spartano zoppo che vuole un cavallo per la battaglia? «Non capisci che in guerra non serve chi fugge ma chi resiste». Ma se Plutarco è l’inventore della Sparta che piace al cinema, leggendolo vi accorgerete che molte delle metafore care agli umanisti, compreso il celebre binomio «Golpe et lione» di machiavelliana memoria, sono in realtà farina degli apoftegmi dello storico greco.