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 2018  febbraio 05 Lunedì calendario

Francesca Lollobrigida, che pattinava dietro le automobili

PYEONGCHANG
In volo dal Giappone alla Corea, dalla città di Obihiro all’aeroporto di Seul, poi in treno verso il villaggio olimpico di Gangneung. «Un viaggio infinito, ma finalmente ci siamo, l’alloggio è a posto.
L’esperienza di quattro anni fa a Sochi mi è servita a stare più tranquilla. Questa è la mia Olimpiade». Non passa inosservata, Francesca Lollobrigida, con quella tinta viola sopra un sorriso sempre acceso. È una stella del pattinaggio su velocità, più conosciuta in Olanda, la terra degli speed skaters, che in Italia. In una specialità rimasta ai ricordi di Fabris a Torino, ha rimesso l’Italia sulla mappa degli anelli di ghiaccio e delle tute aerodinamiche con il titolo europeo e una prova di Coppa del mondo quest’anno nella mass start. E poi, quel cognome hollywoodiano. «Mi chiamavano “Lollo” già a scuola, mio bisnonno mi raccontava della zia Gina, dei suoi film e della vita nel mondo del cinema. Ma io ho sempre detto che voglio farmi conoscere per quel che faccio, non per quella parentela.
Magari un giorno incontrerò Gina Lollobrigida, ma non voglio spuntare dal nulla».
Una regina del ghiaccio che cresce a Frascati, sulle colline alle porte di Roma.
«Sono nata a Frascati, ma la mia famiglia si è trasferita subito a Roma, sulla Tiburtina, a Casal de’ Pazzi».
Lì è diventata una pattinatrice su ghiaccio?
«Ma no, le piste sono troppo piccole. A Roma ho cominciato con le rotelle al Tre Fontane. Poi mi allenavo dietro le macchine per la strada».
Pericoloso....
«Devi essere concentrato, quando pattini a 60-70 all’ora tra gente che ti suona il clacson.
Certo, adesso non lo farei più vedendo le condizioni delle strade di Roma...».
Cosa dicevano i suoi genitori?
«Mio papà Maurizio è con me tuttora, è il mio allenatore da sempre. Quando pattinava a rotelle ha stabilito più di cinquanta record. È lui che guidava l’auto che mi apriva la strada. Una sera – bisogna uscire sempre a orari strani per non incrociare il traffico – ci ferma un poliziotto e ci fa: “Ao, ma che siete matti?”. E papà: “Ma guarda che lei è campionessa del mondo”. Un’altra volta mi becco una multa per eccesso di velocità: stavo andando a 50 all’ora quando il limite era 30.
Sui pattini!».
È vero che quando è passata al ghiaccio prendeva il treno di notte per andarsi ad allenare in Trentino il weekend?
«Non solo in treno. Papà ha dovuto buttare via quattro automobili, guidando da Roma alla pista di Baselga di Piné che era a disposizione degli atleti solo il sabato dalle 18 alle 20, e la domenica mattina dalle 10 alle 20. Sempre al volante, per 600 chilometri all’andata e al ritorno, mentre io facevo i compiti e non potevo certo dargli il cambio. Ho passato anni a studiare in macchina, quella vita da giovane mi piaceva, adesso mi divertirebbe un po’ meno».
Anche sua madre ha avuto un ruolo decisivo?
«Senza di lei avrei smesso, questo è certo. Sondra è mia mamma, amica, compagna, è la mia maestra di ginnastica nella palestra delle elementari al Sacro Cuore, dalle suore. È la maestra di pattinaggio che mi insegna il pomeriggio in cortile.
È il sostegno insostituibile quando mi sono ammalata».
Aveva abbandonato lo sport?
«Non ero più in grado di fare le scale, altro che il pattinaggio.
Avevo preso una mononucleosi che è stata diagnosticata troppo tardi. C’è una foto dei mondiali di rotelle del 2008, fa caldo ma io sono l’unica con la maglietta termica. Quando sei ad alti livelli, poi hai dei problemi fisici e non ti ritrovi più, anche un principiante sarebbe in grado di batterti, quello è il momento in cui pensi “non mi riprenderò più”».
E cos’è successo per farla tornare più forte di prima?
«Quando riaprivo gli occhi c’era lei, mia madre. Lei mi ha dato coraggio ogni giorno, anche quando sono guarita e mi sono fratturata una spalla. Per questo ho aderito ad una campagna, “Grazie di cuore mamma”, che celebra le madri che aiutano i figli a superare i pregiudizi del nostro mondo. Senza la mia famiglia non sarei arrivata qui».
Per vincere una medaglia?
«Correrò il 10 febbraio i 3000, ma sarà sabato 24 febbraio, il penultimo giorno, la mia grande chance nella mass start, la gara in cui ho vinto gli Europei, al debutto nel programma olimpico. Vediamo se riusciamo a fregare qualcosa agli olandesi...».
Il Paese che ha vinto 23 medaglie su 36 a Sochi, e dove lei vive e si allena per sei mesi, anche con gli uomini.
«Prima che appianassimo i rapporti, c’è stato un periodo in cui non andavo molto d’accordo con la federazione che voleva impedirmi di fare attività su rotelle. Così mi sono trasferita in Olanda, dove partecipo alle maratone che sono popolarissime e vengono trasmette in diretta tv. Vivo vicino a Heerenveen, il pattinaggio su ghiaccio lì è una religione. Anche il mio sponsor è olandese, una ditta di prodotti per il lavoro, abbigliamento, scarpe, viti, aspirapolvere. Ma a lavorare ci sarei andata io, senza l’Aeronautica militare che mi ha inquadrata nel suo gruppo.
Oppure mi sarei dedicata allo studio, a finire Scienze motorie, poi alle biotecnologie che mi attraggono moltissimo, mi piacciono i laboratori».
E quando finisce la stagione olandese?
«A fine marzo-aprile torno a Roma, nella nostra casa al mare di Ladispoli, per poi passare l’estate a San Benedetto, ad allenarmi in bicicletta sul lungomare. Anche se sono famosa nel mondo del ghiaccio, resto sempre una ragazza romana che ama il mare e in spiaggia ritrova energia».
Chiusano, Rep 5/2