la Repubblica, 5 febbraio 2018
Klimt, l’artista che divenne un gadget per l’iPhone
Sono passati due anni dalla nascita della Secessione viennese quando Gustav Klimt, nel 1899, dipinge il paesaggio Dopo la pioggia: una sorta di interiorizzazione di un panorama naturale sospeso e avvolgente, attraversato dai lunghi tronchi degli alberi che si scalano e si ripetono, come tanti sottili cilindri che misurino, con difficoltà, lo spazio evanescente. È lo stesso anno della Nuda Veritas, un nudo frontale che senza l’iscrizione non si potrebbe avvicinare alla metafora antica della verità come pura assenza di ornamenti. Inquiete e portatrici di una bellezza basata sull’ossimoro un paesaggio che non corre verso l’orizzonte, un’allegoria severa che seduce – queste e altre opere di Klimt, nonostante la loro dissonanza, sono alla base del successo duraturo dell’artista, uno dei più riprodotti su oggetti di ogni tipo, anche al di fuori del fortunato merchandising dei musei.
Allo scadere del secolo Klimt era protagonista dell’ambiente artistico viennese che sempre di più diventava internazionale, in sintonia con lo spuntare delle Secessioni in altri centri europei e in procinto di ospitare, nel palazzo appositamente costruito sul Ring, dalla cupola di un oro sottile e traforato, il lavoro di Charles Rennie Mackintosh e l’eredità della cultura Arts and Crafts dell’Inghilterra preraffaellita.
Tacciata a volte di eclettismo per la velocità a cogliere suggestioni da artisti contemporanei, dalla letteratura e dalle opere d’arte antiche, l’opera di Klimt e l’intera epoca fin de siècle viennese è invece certamente uno dei momenti di più intensa creatività dell’Ottocento. Nel suo bruciare velocemente le esperienze del secolo, non solo annuncia in un clima di preziosa decadenza la Finis Austriae, la disgregazione geografica e politica di un mondo che si affaccerà in tutto il suo periclitante splendore alla Prima guerra mondiale, ma, come più acutamente è stato avanzato negli studi più recenti, offre elementi di dirompente modernità al dibattito artistico del Novecento.
Con il fratello Ernst e il compagno di studi Franz Matsch, Klimt aveva ricevuto, poco più che ventenne, commissioni importanti per palazzi viennesi, fino al ciclo allegorico, commissionato da Francesco Giuseppe, per i soffitti del nuovo palazzo dei Musei. Per celebrare il centenario della morte, che cade domani, il Kunsthistoriches Museum monta un ponte nel salone di ingresso sopra lo scalone, consentendo ai visitatori di osservare da vicino le allegorie delle arti dipinte da Klimt per celebrare le opere e il ruolo del museo all’aprirsi del Novecento. Le donne sontuosamente abbigliate e dallo sguardo fiero sono forse le meno conosciute della produzione di Klimt, più distanti e austere delle esitanti signore dell’alta società austriaca e dalle conturbanti eroine che oggi fanno parte del nostro panorama visivo, che su poster ormai desueti hanno abitato le camere di ogni meditabonda ragazzina negli anni Ottanta e che si sono poi trasferite, in maniera più longeva, su foulard e cravatte.
Esplicitamente citate dall’alta moda, nel caso della Giuditta e della Danae, riprodotte sulle cover dell’iPhone come Sonja Knips, utilizzate in maniera allarmante come stampe per federe e lenzuola nel caso delle protagoniste del Bacio e delle Tre età della donna, i personaggi femminili di Klimt hanno avuto una lunga circolazione e sopravvivenza, oltre il mito della femme fatale creato dalla letteratura e dalle arti di inizio Novecento.
Non solo Giuditta e Salomé, eroine bibliche riportate in auge anche nelle illustrazioni di Aubrey Beardsley in Inghilterra hanno sguardi e fattezze poco rassicuranti, ma la stessa Pallade Atena, dea della Sapienza, si presenta nel dipinto del 1898 spiritata e misteriosa, uno sguardo fisso e bistrato che emerge fra l’elmo e l’armatura.
Alla instabilità delle immagini create da Klimt contribuisce l’adozione, all’interno della stessa opera, di punti di vista diversi. I volti sono realizzati in maniera illusionistica, pieni di passaggi tonali soffusi e tridimensionali, mentre il resto, dagli abiti che evocano i mosaici e preludono al collage cubista, agli sfondi, rinuncia alla prospettiva.
L’aderenza decorativa alla superficie del quadro attrae lo spettatore complicandone l’esperienza visiva. Inafferrabili perché poco riconducibili, nel loro insieme, a quello che Ernst Gombrich ha chiamato il senso dell’ordine, le immagini di Klimt, contraddittorie in termini di esperienza spaziale, rimandano a una esperienza emotiva e irrazionale che è uno degli elementi chiave del simbolismo europeo e forse uno dei motivi del loro fascino che non accenna a diminuire.
Il paesaggio, l’allegoria, il ritratto, tutti i generi della tradizione vengono rivisti e scardinati dall’interno, facendoli reagire a una contaminazione con un altro concetto molto caro alle gerarchie dell’immagine occidentale, come quello dell’ornamento. Nel Ritratto di Sonja Knips il volto della donna emerge dal vestito bianco, non solo accostato ai fiori ma contiguo a tutti gli elementi di decorazione che si addensano nel dipinto. Vestiti, gioielli, drappi trasparenti e ricamati, scostati da nudità esplicite sottolineano la continuità della bellezza, dall’essere umano agli oggetti creati dall’artificio. In particolare nel ritratto femminile, questa era una tendenza creata già dai pittori simbolisti nella seconda metà dell’Ottocento. Le donne ritratte, spesso languidamente distese o addirittura addormentate, si confondevano, nelle loro vesti eleganti e a volte preziose, con gli elementi decorativi dell’ambiente, in un trascolorare di forme: da quelle animate a quelle prive di vita degli oggetti circostanti. Allo stesso modo socchiudono gli occhi o sembrano dormire la giovane madre e la bambina delle Tre età della donna, il celebre dipinto del 1905 di Klimt esposto in Italia nel 1911. La ricerca di una relazione fra le arti e la produzione seriale, la possibilità di diffondere il bello attraverso oggetti di uso comune e non destinati al museo era una delle ambizioni, ma anche uno dei pericoli, del dibattito sulle arti nella seconda metà dell’Ottocento.
La componente decorativa nei dipinti di Klimt è certamente uno degli elementi del suo successo contemporaneo e della risonanza che hanno avuto nella moda. L’oro che luccica veste l’inquietudine dei personaggi, la forza ipnotica dei colori dei paesaggi rende impalpabili e lievi le montagne.
Sono immagini di una bellezza fragile e misteriosa, straordinariamente adatta al presente. E anche per quanto riguarda le donne fatali, pericolose interpreti di un mondo in dissoluzione, la ripetizione seriale delle loro fattezze ne ha attutito l’inquietudine, il potere disturbante e sottilmente venefico. Sono eleganti, sono seducenti, spirituali e passive, creature di lusso in mezzo a preziosi oggetti di lusso, oziose e solitarie in un mondo invece estremamente rapido, affollato e feroce, le uniche che si possono permettere, come aveva scritto Stéphane Mallarmé «di sentir emergere in sé l’urgenza di ornare anche l’anima».