Affari&Finanza, 5 febbraio 2018
Una via della seta e una del ghiaccio le merci cinesi ora guardano al Polo
Genova Via mare, entrando nel Mediterraneo attraverso Suez, o navigando fra i giacchi artici fino a raggiungere l’Olanda. Ma anche via terra, con il treno, lungo le pianure asiatiche fino a entrare in Europa e terminare la propria corsa fra le risaie della Lomellina. Da qualunque parte la si guardi, la nuova Via della Seta sposta la clessidra del business, da oriente a occidente, invertendo la rotta classica a cui storia e letteratura ci hanno abituato da tanto tempo. Adesso è il colosso cinese a dettare legge, orientando i suoi traffici verso occidente a bordo delle grandi portacontainer da oltre ventimila teu (unità di misura pari a un pezzo da venti piedi) o su treni già in servizio da qualche mese che dalla costa cinese arrivano fino in Italia, a Mortara. È però la rotta oceanica quella che può realmente fare la differenza, creando ricchezza e lavoro per i Paesi toccati lungo la navigazione. Il fatto è che, se non c’è dubbio che il piano “Obor-One Belt One Road” lanciato dal presidente Xi Jinping voglia andare in porto con una certa rapidità, ancora si sta discutendo su rotte e scali. Perché l’impressione che si voglia tentare per la prima volta in modo strutturato l’apertura di una linea marittima artica sta prendendo sempre più concretezza. La progressiva riduzione dei ghiacci artici, causata dal surriscaldamento del pianeta, allunga la stagionalità finora brevissima della navigazione e apre nuove opportunità al mercato. Da quando nel 2013 la prima portacontainer della compagnia di Stato cinese Cosco raggiunse Rotterdam partendo da Dalian, i tentativi si sono succeduti con regolarità. Adesso il Paese, dopo aver lanciato “Belt and road”, guarda con rinnovato interesse alla rotta dei ghiacci (ridotti), cercando partner con cui strutturare l’avventura. Così, la “polar silk road” può diventare la nuova rotta dei traffici internazionali, visto che coinvolge territori che si estendono per otto milioni di chilometri quadrati sotto diverse giurisdizioni (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti). Non sfugge certo alle autorità cinesi che il Paese non confina con la regione artica, restando comunque una delle tredici nazioni che hanno uno status di osservatori nell’Artic Council. Da qui l’idea di legarsi in un patto federativo del business ad altri stati in questo immenso oceano da 12 milioni di chilometri quadrati, già percorso appunto più volte in passato, e ripartendo proprio dal viaggio della Yong Sheng, portacontainder della Cosco che seguendo la rotta a Nord arrivò con il suo carico di container da Dalian fino al porto olandese di Rotterdam dopo 35 giorni di navigazione. Lungo la rotta tradizionale che risale il Mar Rosso, entra a Suez ed esce a Gibilterra, Rotterdam sarebbe stata raggiunta in 48 giorni, cioè 13 in più. E se si guarda a porti asiatici ancor più vicini alla rotta artica, il risparmio di giorni (e di carburante) si fa ancora più evidente. Da Boryeong, in Corea del Sud, a Hammerfest, in Norvegia, le miglia nautiche da percorrere sono 6.800 per 19 giorni di viaggi. Passando da Suez, le miglia salgono a 12mila e i giorni a 39, cioè il doppio. Ovviamente non si può certo pensare a una rotta da subito alternativa, vista appunto la stagionalità e la tipologia di navi deputate a navigare fra i ghiacci, ma la rotta a Nord si va sempre più strutturando da luglio a novembre. Un’opportunità per la Cina, che tiene aperta una seconda opzione, un pericolo per il business del Mediterraneo che è il terminale del progetto “Obor”. Secondo quanto predisposto dai piani del governo cinese, infatti, la rotta di partenza arriva fino al Mediterraneo passando da Suez, un lunghissimo cammino che tocca 63 Paesi, oltre alla Cina, e che prevede circa 900 interventi infrastrutturali per adeguare i porti alle nuove esigenze della merce. Una mole di lavoro enorme, che dovrebbe creare 180mila posti e dare vita a un interscambio commerciale di 780 miliardi di dollari lungo la navigazione. Dalla Cina all’Indonesia, e poi Vietnam, Sri Lanka e Kenya, le navi entrano da Suez nel Mediterraneo, facendo scalo al Pireo, porto già di proprietà cinese, e poi dividendosi lungo le due autostrade del mare italiane, Tirreno, con Genova- Savona, e Adriatico, con Trieste e Venezia. «Siamo sinceri, la rotta artica, se realmente dovesse essere praticata in conseguenza dell’allungamento del periodo navigabile sarebbe una grande minaccia» spiega Augusto Cosulich, a capo di una delle più importanti agenzie marittime d’Europa, con interessi in Asia e un fatturato 2017 superiore al miliardo di euro. Cosulich, amministratore delegato della genovese “Fratelli Cosulich”, è agente della compagnia Cosco e conosce bene i suoi partner cinesi. Con loro, infatti, ha costituito negli anni Novanta la “Coscos”, prima joint venture italo-cinese a sorgere nel nostro Paese e deputataa gestire tutti gli interessi economici della compagnia di Stato nel Mediterraneo. «Per il momento siamo ancora alle sperimentazioni – riflette Cosulich – ma se decidessero di passare a Nord sarebbe oggettivamente un problema. Per questo dobbiamo essere in grado di attrezzare al meglio i nostri porti, così da indurre i cinesi a radicare qui i loro interessi commerciali». Come? Trasformando i porti, ingessati dalla burocrazia e poveri di infrastrutture, in piattaforme logistiche, così da far correre velocemente la merce scaricata dalle navi sulla ferrovia. Anche per questo, il progetto messo a punto dal nuovo porto di Genova-Savona si candida a intercettare una fetta consistente del traffico cinese: 12 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture stradali e ferroviarie per terzo valico, nodo, gronda e diga foranea. E non può sfuggire il fatto che la nuova autorità portuale del Mar Ligure Occidentale, che unisce i porti di Genova, Savona e Vado Ligure, non mette in campo solo i terminal dello scalo del capoluogo ligure, ma anche la nuova piattaforma in via di realizzazione a Vado e nel cui capitale, insieme ai danesi di Ap Moeller, ci sono guarda caso proprio i cinesi di Cosco. «I cinesi hanno la proprietà anche del Pireo, ma chi si attrezza meglio vince la sfida, non ci sono grandi alternative» chiude Cosulich. Stesso discorso sull’Adriatico, dove Trieste e Venezia, si candidano a intercettare il traffico in arrivo dalle navi cinesi e diretto nell’Europa centrale e dell’Est. Sembrerebbero infatti essere proprio questi tre, Genova, Trieste e Venezia, i tre porti destinati a diventare i terminali mediterranei sulla Via della Seta. Ad annunciarlo, l’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu: «Le autorità e le aziende cinesi hanno già preso contatti con i porti di Trieste, Genova e Venezia per sviluppare nuove opportunità di cooperazione – spiega – L’obiettivo è giungere alla sigla di un memorandum d’intesa per la cooperazione bilaterale». Parole che trovano riscontro in quelle dell’ambasciatore italiano in CIna, Ettore Sequi. «I porti italiani non sono alternativi ma complementari al Pireo. L’interesse della Cina è forte e concreto ma la Via della Seta andrà avanti con o senza di noi». Stando attenti che la rotta artica non finisca per cambiare le regole del gioco.