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 2018  febbraio 05 Lunedì calendario

Il buono e il cattivo divisi in casa Kennedy

I Kennedy sono un serbatoio inesauribile della politica statunitense: scomparso il Grande Vecchio, Ted Kennedy, che aveva tenuto lo scranno per quasi cinquant’anni in Senato, falcidiata da tragedie e morti precoci la generazione dei figli di John e di Robert, siamo alle schiere di nipoti e pro-nipoti. Non sorprende trovarne due al centro dell’attenzione, in questi giorni. Sorprende, piuttosto, trovarli su fronti opposti dello spartiacque tra democratici e repubblicani: Kennedy è sinonimo di liberal e progressista, oltre che di potere e soldi.
 
Il buono e il cattivo, battaglia in casa
Il Kennedy più nuovo è Joseph “Joe” Kennedy III, 38 anni, pronipote di JFK, il presidente assassinato a Dallas nel 1963, deputato del Massachusetts – e di dove?, se no -: capelli ricci rosso irlandese, assomiglia a Ted Anni 60. Volto pulito, maniche di camicia, tono fermo ma pacato, è stato il volto e la voce dell’opposizione democratica con il contro-discorso sullo stato dell’Unione dopo quello del presidente Donald Trump, la sera del 30 gennaio.
Siccome i democratici sono terribilmente a corto di leader e di nomi, quando mancano mille giorni alle presidenziali 2020, il 3 novembre, Joe s’è subito trovato proiettato nella corsa alla nomination, cui non è neppure detto che a questo giro si candidi. Ma con quel nome è iscritto d’ufficio al club delle stelle nascenti – spesso, poi, stelle filanti – dei liberal americani.
Il reprobo, su posizioni negazioniste, almeno per quanto riguarda i vaccini, è Robert F. Kennedy jr, 64 anni, nipote di JFK, cavaliere di molte cause fortunatamente perdute e tendenzialmente sbagliate una vocazione complottista. Lui è un referente di Trump nella crociata anti-vaccini che è stata più volte attribuita al magnate presidente ma che, in realtà, non è mai partita, anche perché, al primo cenno, oltre 350 associazioni scientifiche di tutte le estrazioni hanno scritto alla Casa Bianca esprimendo il loro “appoggio univoco alla sicurezza dei vaccini” e la loco convinzione che i vaccini “salvano vite di bambini e di adulti”.
 
La fantomatica crociata anti-vaccini di Trump
Ufficialmente, non c’è traccia della commissione sulla sicurezza e validità scientifica dei vaccini che Trump voleva creare e affidare al Kennedy negazionista. Un anno fa, la cosa pareva fatta ma venne poi smentita dal portavoce del presidente: “Nessuna decisione è stata ancora presa”. Con tutte le grane che Trump ha dovuto affrontare nel primo anno alla Casa Bianca, crearsene un’altra non dev’essere una priorità. Ci sono stuoli di scienziati pronti a ricordare che “c’è un’ampia letteratura medica che smentisce chi dice che i vaccini non sono sicuri e che anzi sostiene che sono il modo migliore, più sicuro e più economico per prevenire malattie e decessi”.
Della nomina di Kennedy a capo di una fantomatica Vaccine safety task force, lui e Trump hanno discusso a più riprese. Un anno fa, al National press club di Washington, Robert Kennedy e l’attore Robert De Niro fecero una conferenza stampa e accusarono i media di essere al servizio dell’industria farmaceutica e di non alimentare il dibattito sulla validità dei vaccini: lanciarono pure un premio di 100 mila dollari per chiunque trovasse uno studio scientifico che dimostri che iniettare livelli di mercurio come quelli contenuti nei vaccini sia sano per i bambini o per le donne incinte.
E nell’agosto scorso Robert Kennedy raccontò alla reporter Helen Branwell, di avere incontrato, su richiesta della Casa Bianca, i responsabili federali della salute pubblica per discutere presunte lacune nella sicurezza dei vaccini.
Probabilmente, a tenere a freno le riserve di Trump contro i vaccini è stato il risultato fallimentare del principale argomento di Kennedy, la correlazione tra un aumento dell’autismo e la diffusione dei vaccini. Nei mesi scorsi, studi accurati hanno dimostrato che l’autismo negli Stati Uniti è in regresso e che l’aumento riscontrato negli anni immediatamente precedenti era dovuto a controlli più capillari e a una revisione dei criteri di accertamento della malattia che alla diffusione dei vaccini.
 
Il discorso di “Joe”: bene, con critiche
Nulla di misterioso, invece, nel “manifesto per l’America di tutti” illustrato dal Kennedy deputato nella replica democratica al discorso sullo stato dell’Unione di Trump: un manifesto pensato in vista delle prossime elezioni di midterm del 6 novembre, quando i democratici cercheranno di strappare ai repubblicani la maggioranza al Senato – è risicata, d’un solo voto, 51 a 49 – e pure alla Camera, dove il margine è più netto.
Ma non tutti nel partito e fra i simpatizzanti hanno apprezzato stile e sostanza del giovane Kennedy: lo zoccolo duro dell’ala liberal gli ha rimproverato eccessiva timidezza verso il magnate presidente. In testa a tutti, il senatore del Vermont Bernie Sanders, principale avversario di Hillary Clinton nella corsa alla nomination 2016. “Gli americani – ha deto – non vogliono un presidente disonesto, prepotente, che rappresenta gli interessi dei miliardari e va contro i verdetti della scienza. Trump – ha aggiunto Sanders – cerca di dividere il Paese sulla base del colore della pelle, delle origini, della religione, del genere, degli orientamenti sessuali”.
Sulla stessa lunghezza d’onda la senatrice Elizabeth Warren, famosa per le battaglie anti-Wall Street e una delle più acerrime antagoniste del presidente: “L’America non è più forte se Donald Trump cerca di strappare l’assicurazione sanitaria a milioni di americani. E il nostro futuro non è più sicuro se il presidente dà gigantesche agevolazioni fiscali ai miliardari e alle grandi società togliendo soldi all’istruzione, alle infrastrutture e a tutti gli strumenti che servono a migliorare le condizioni di vita della gente comune”.
Per i progressisti, Joe Kennedy non è andato giù abbastanza duro, non ha davvero preso di petto Trump, che non ha mai menzionato – anche se i riferimenti erano trasparenti – nel suo intervento, fatto in una scuola tecnica superiore di Fall River, cittadina fondata da migranti e centro focale dell’industria manifatturiera del Massachusetts, 70 chilometri a sud di Boston. Un luogo simbolico per dire agli americani che quelle che il magnate insediato alla Casa Bianca prospetta sono “false scelte”: “Questa amministrazione non sta solo minando le leggi che ci proteggono, sta minando l’idea stessa che meritiamo tutti protezione… Dalla sanità alla giustizia, dall’economia ai diritti civili, l’agenda democratica è in forte contrasto con il presidente Trump… La nostra visione dell’Unione è guidata dalla semplice idea che ogni americano possa permettersi l’uguaglianza e la dignità economica che merita”.
E Kennedy ha poi affondato il colpo: “I bulli possono sferrare un pugno e lasciare il segno, ma non sono mai riusciti a eguagliare la forza e lo spirito del popolo unito in difesa del suo futuro”.
E rivolgendosi, in spagnolo, ai dreamers, figli di immigrati irregolari portati negli Usa illegalmente quando erano minori, al centro in questi giorni di una disputa politica, li ha incoraggiati: “Siete parte della nostra storia. Lotteremo per voi e non vi abbandoneremo”. Ad ascoltarlo fra i suoi ospiti un soldato transgender, Patricia King: una scelta di rottura con le politiche di Trump.
 
La corsa liquida alla nomination 2020
Sanders, 77 anni, e la Warren, 69, sono due avversari che Joe potrebbe trovarsi sulla strada se decidesse di puntare alla nomination 2020: una corsa ancora liquida, se si considera che il nome più citato nei sondaggi è ancora quello di Joe Biden, 76 anni, senatore del Delaware per 36 anni, poi vice-presidente di Barack Obama, ma non sceso in lizza nel 2016. Sanders, Biden e la Warren hanno il pregio dell’esperienza e l’handicap dell’età; il “nuovo” Kennedy manca d’esperienza, ma non ha un’immagine usurata. Dovrebbe però vedersela anche con altri astri nascenti, come Cory Booker, 49 anni, senatore del New Jersey, e Kamala Harris, 54 anni, senatrice della California.
Le critiche al discorso di Joe rispecchiano le contraddizioni interne al partito democratico, le cui due anime faticano a trovare un’unica voce dopo il trauma della batosta elettorale 2016. Kennedy, eletto nel 2012 (nella famiglia il primo della sua generazione a conquistare un seggio nazionale), conquistò visibilità e notorietà lo scorso anno per un appassionato intervento in difesa dell’Obamacare: difficile però vederlo come “il nuovo che avanza” visto che si porta cucita addosso l’inevitabile etichetta di ennesimo erede d’una dinastia politica, connotazione scomoda, al tempo dell’anti-politica.
Soprannominato Milkman all’Università, perché non beveva alcol, Joe, per il momento, guarda più al Senato che alla Casa Bianca: l’obiettivo più prossimo è riportare in famiglia il seggio di senatore del Massachusetts che, di padre in figlio e di fratello in fratello, il clan di Camelot ha avuto per oltre 60 anni nel secondo dopoguerra.