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 2018  febbraio 05 Lunedì calendario

«Il mio violoncello sogna il rap». Intervista a Sheku Kanneh- Mason

LONDRA Entra nella hall del grande albergo, si guarda intorno disorientato, lo sguardo indugia sui soffitti altissimi, esplora curioso ogni angolo di quel tempio del lusso. Non è il suo mondo, non ancora. Sheku Kanneh-Mason, 18 anni, è reduce da una giornata di studio alla Royal Academy of Music di Londra, tra un’ora ha un appuntamento alla Bbc, che nel 2016 l’ha premiato come miglior giovane musicista dell’anno, un concorso che mai, nella sua storia ultratrentennale, era stato vinto da un ragazzo di colore. Ha in spalla, protetto da una custodia rigida, un tesoro ben più prezioso di quel salone nel quale si sente fuori luogo: un violoncello Amati del 1610 che gli è stato concesso in prestito per i suoi meriti artistici.
«Sono al primo anno della Royal Academy, ho iniziato i corsi a settembre, ne avrò per altri quattro anni, c’è ancora tanto da imparare», esordisce. E subito precisa di far parte anche del football club della scuola, come a ristabilire una normalità che gli sta sfuggendo di mano. Sheku, madre originaria della Sierra Leone, padre di Antigua, terzo di sette fratelli tutti impegnati nella musica ad alto livello, ha fatto un salto enorme dalla provincia alla Carnegie Hall. «Solo un anno fa ero uno studente delle superiori a Nottingham con la passione per la musica e adesso il mio nome è su un cd. Che dire? Sono in un’altra dimensione». La partecipazione con i fratelli a Britain’s got talent gli ha spalancato le porte del pubblico televisivo; l’esibizione ai Bafta, gli oscar inglesi, dove ha suonato al violoncello Hallelujah di Leonard Cohen, l’ha fatto diventare la mascotte delle star e del principe Harry; una serata di beneficenza alla Carnegie Hall, The children’s monologues (dove ha eseguito la struggente Abodah di Ernest Bloch), l’ha catapultato tra divi americani come Jessica Chastain e Susan Sarandon; il suo arrangiamento di No woman, no cry di Bob Marley è diventato, complici Spotify e YouTube, un tormentone natalizio in mezzo mondo; Inspiration, l’album appena pubblicato, con composizioni di Saint-Saëns, Shostakovich e Pablo Casals, vola altissimo nelle classifiche inglesi.
«Ho iniziato a suonare quando avevo sei anni e da quel momento non mi sono più fermato», spiega.
«Mi portarono a teatro e fui conquistato dal violoncello. Era il Cello Concerto di Edward Elgar».
I genitori avevano incoraggiato la sorella maggiore a suonare il pianoforte. Non immaginavano di scatenare una reazione a catena, di dover impegnare ogni singolo penny dei loro salari per la formazione musicale di sette figli (per fortuna tutti meritevoli di borse di studio). «La passione per la musica è stata contagiosa.
Ma casa nostra è grande e i vicini sono tolleranti, immagini cosa succede quando ci esercitiamo contemporaneamente», scherza.
«Non ho mai pensato che nella vita potessi far altro che suonare. L’ho sempre preso sul serio. In famiglia ascoltavamo classica ma anche il reggae, mio padre è di origini caraibiche. Ho un grande rispetto per Bob Marley, la sua musica è una costante fonte d’ispirazione, ma mi piacciono anche Eminem e Dr Dre».
Ha scelto personalmente il repertorio di Inspiration tra le musiche che gli hanno illuminato l’infanzia e l’adolescenza. La melodia klezmer che apre l’album è un ricordo dei primi anni di scuola, il Concerto N. 1 di Shostakovich, uno dei suoi preferiti: «Ogni volta che lo suono scatena una tempesta di emozioni, le stesse che provai guardando il video del Cello Concerto di Elgar suonato da Jacqueline du Pré. Lei è il mio idolo, l’ho riguardato migliaia di volte». Per modestia trascura di dire che Piers e Hilary du Pré, fratelli della geniale violoncellista morta per sclerosi multipla nel 1987 a 42 anni, hanno scritto in un post: «Jackie diceva spesso: molti violoncellisti hanno la tecnica ma fanno davvero musica? Sheku fa musica. È il primo violoncellista dai tempi di Jackie che ha quel naturale e vibrante abbandono.
Ascoltarlo è un piacere assoluto.
Jackie avrebbe adorato conoscerlo». «È anche grazie a lei se ho scelto il violoncello», mormora Sheku, che nel cd le ha dedicato Jacqueline’s tears di Offenbach, «mi ha fatto capire che lo strumento ha un suono ma anche una voce, come ripeto a chi mi chiede se abbia senso eseguire Hallelujah senza parole». Che il suo impegno è concreto e la dedizione totale lo dimostra la militanza nella Chineke!
Orchestra, sessanta musicisti da tutto il mondo che ruotano intorno a vari progetti, di casa alla Royal Festival Hall e al Barbican.
«È il tentativo di cambiare le prospettive e allargare gli orizzonti della musica classica con un ensemble che ospita artisti di colore e minoranze in cerca di pari opportunità. Quanti neri vede suonare in orchestra?», protesta. Altri sogni? «Suonare con i Berliner Philharmoniker».
E se chiamasse Eminem?
«Ci andrei. Di corsa!».