Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Enrico Letta ha travolto, o asfaltato, Silvio Berlusconi nella partita che s’è giocata ieri al Senato e alla Camera: il capo del Popolo della Libertà, che fino a mezzogiorno era deciso a votare la sfiducia al governo, ha capovolto all’una la sua posizione. Il Pdl esce dalla vicenda lacerato, e non solo idealmente: Cicchitto ha chiesto di costituire alla Camera un gruppo autonomo di 26 deputati e, uscendo dal Parlamento, ha dichiarato che «non ci sono margini per ricucire». Al Senato ieri sera si sono riuniti Formigoni, Giovanardi e altri per discutere sulla creazione anche al Senato di un gruppo autonomo di destra moderata. Il saldo finale per il Pdl è drammatico, al punto che molti commentatori politici hanno indicato nella giornata di ieri quella in cui si è concluso il ventennio berlusconiano.
• Bisogna cominciare raccontando il discorso di Letta.
Letta ha parlato poco più di 40 minuti, elencando una quantità impressionante di cose fatte dal governo e respingendo l’accusa di molti secondo cui l’esecutivo ha campato rinviando. Un discorso in certi momenti quasi più da amministratore che da leader politico. Ma con alcuni passaggi decisivi. Il più importante di questi: non c’è nessuna possibilità di far combaciare la vicenda privata di Berlusconi, cioè i suoi guai giudiziari, con l’attività del governo. I due piani devono rimanere distinti e il governo non vuole, non può e non deve farsi carico di quel problema. In un altro passaggio, il premier ha ricordato che l’Europa ci chiede di intervenire sulla responsabilità civile dei magistrati e, l’aver citato questo punto, ha permesso ai dissidenti di centrodestra (per primo Maurizio Sacconi) di considerarlo un’apertura sulla riforma della giustizia. Il presidente ha anche dato una grande importanza al semestre di presidenza italiana della Ue, con questo allungando la durata del suo governo a tutto il 2014, e all’Expo, col che il suo governo coprirebbe anche tutto il 2015. Questa era una richiesta precisa dei pidiellini dissidenti: che gli si desse una prospettiva di lungo termine, che gli si desse il tempo di recuperare, di crescere, di farsi stimare dall’elettorato di centrodestra (ieri totalmente privato di ogni bussola). Questa stessa prospettiva ha provocato fibrillazioni nel Pd: i renziani fanno capire di non essere disposti ad aspettare così a lungo e Rosy Bondi ha ribadito che, approvata la legge elettorale, sarebbe bene tornare alle urne. Un discorso pronunciato in tono sorridente, interrotto sei volte dagli applausi, in cui Letta ha detto che non saranno più possibili ricatti da parte della destra, ricatti del tipo «o fai questo o facciamo cadere il governo». Non ha mai neanche pronunciato le parole Iva e Imu.
• Tasse che, per inciso, che fine faranno?
Pare che l’Iva al 22 per cento ce la dobbiamo tenere. L’Imu, secondo il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baratta, non è più una priorità, perché la seconda rata si pagherebbe casomai a metà dicembre e ci sarà modo per rimodularla alla fine di novembre.
• Bene, mentre Letta parlava, quelli dei Pdl si dilaniavano.
Sì. Berlusconi è arrivato in Senato che il presidente del Consiglio aveva cominciato il suo discorso da una ventina di minuti. Le agenzie hanno subito battuto una sua dichiarazione in cui si intravedevano le prime incertezze sul da farsi: «Vediamo che succede. Sentiamo il discorso di Letta e poi decidiamo». Il Cav ha riunito i suoi senatori, ma sono andati all’appuntamento in sessanta invece che in novanta. Formigoni e Giovanardi, infatti, stavano spiegando alle televisioni collegate non solo che avrebbero votato, con una quarantina di pidiellini, la fiducia a Letta, ma che avrebbero dato vita a un gruppo autonomo, da chiamarsi secondo Formigoni “I Popolari”, sempre impegnato nella difesa di Berlusconi dalla persecuzione giudiziaria, ma distinta per il resto dal partito della Santanché, di Verdini, di Bondi. Berlusconi lo ha saputo e ha chiesto di votare sull’atteggiamento da tenere in aula. Dei sessanta senatori, però, una trentina se n’erano andati. Gli altri hanno votato per la sfiducia all’unanimità. Per cui, intorno a mezzogiorno, erano tutti convinti che un gruppo consistente di senatori pidiellini sarebbe rimasto nella maggioranza a sostenere il governo, mentre Berlusconi sarebbe finito all’opposizione. Invece, all’una e qualcosa, Berlusconi ha preso la parola al posto di Schifani.
• E che cosa ha detto esattamente?
Era terreo, o almeno la televisione lo mostrava tale. Ha detto che il governo si era formato intorno alla parola “pacificazione” e che aveva capito dal discorso del presidente del Consiglio che questo intento pacificatore era ancora un obiettivo da perseguire. Poi ha riconosciuto che Letta s’era impegnato ad abbassare le tasse (però soprattutto quelle che ci falcidiano la busta paga). Infine: «Mettendo insieme le aspettative e il fatto che l’Italia ha bisogno di un governo che produca riforme istituzionali e strutturali abbiamo deciso, non senza interno travaglio, per il voto di fiducia». Qualcuno ha creduto di leggere, nel labiale di Enrico Letta, la parola “Grande”.
• I mercati come hanno reagito?
Con euforia, dopo una mattinata di incertezze. Piazza Affari - +0,68% - è l’unica in Europa ad aver chiuso le contrattazioni in territorio positivo. Lo spread è sceso a 256.
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