Sebastiano Messina, la Repubblica 3/10/2013, 3 ottobre 2013
E LA RESA DI SILVIO INCORONA ALFANO IL SEGRETARIO CHE HA TROVATO IL QUID
CHISSÀ se quella di ieri risulterà davvero una giornata storica per la democrazia italiana, come assicura Enrico Letta. Di sicuro lo sarà per Angelino Alfano, che il 2 ottobre 2013 ha finalmente trovato il misterioso elemento che Berlusconi gli rimproverava di non avere, l’invisibile qualità che gli impediva di essere un leader: il quid. E l’ha trovato precisamente alle 13,34, nell’aula di Palazzo Madama, nell’istante esatto in cui l’uomo che è stato il suo mentore, il suo sponsor e il suo capo ha chinato la testa accettando di votare quella fiducia che il vicepremier voleva e che lui fortissi-mamente aveva deciso di rifiutare. Ecco perché in quell’attimo Alfano ha platealmente applaudito l’uomo al quale una volta mai avrebbe pensato di disobbedire, mentre Enrico Letta si girava verso di lui scandendo “Un grande!”, un commento saturo di ironica ammirazione per l’ultima capriola di un Caimano intrappolato.
Ma Angelino non batteva le mani, sorridendo di gioia, solo perché quella impacciata retromarcia gli evitava una rottura pubblica con il vecchio capo: nel suo applauso c’era tutta la soddisfazione per una mossa che gli consegnava su un piatto d’argento il pezzo mancante. Come s’è affrettato a commentare Maurizio Sacconi, in quel momento infatti «Alfano ha trovato il quid e ora è un segretario fortemente legittimato», mentre Berlusconi dovrà accontentarsi di fare «il padre nobile, il leader carismatico », insomma nella migliore delle ipotesi sarà un monarca che regna ma non governa più.
E difatti l’uomo che ha trovato il quid adesso sembra al centro di tutto: dopo aver costretto il resto del partito a seguirlo sul voto di fiducia, adesso tiene tutti sulla corda sulla scissione del Pdl, riunendo dopo cena tutti i senatori pronti a seguirlo ma mandando a dire a Berlusconi che nella notte andrà a Palazzo Grazioli – dove ormai non si dorme più - perché «la frattura è stata inevitabile ma non è ancora irreparabile».
La giornata storica di Angelino Alfano comincia con una sedia vuota. Quando Enrico Letta inizia a parlare nell’aula del Senato, lasciando libera per il suo vice la poltrona alla sua sinistra, lui non c’è (e non ci sarà neanche a Montecitorio, dove arriverà solo a discorso iniziato). È in ritardo, cosa che ormai gli capita sempre più spesso: quando decidono qualcosa al partito, lui è a Palazzo Chigi, e quando c’è un imprevisto al Viminale lui ha un impegno in Parlamento. Andò così anche per il pasticcio Ablyazov, che ricadde sulle spalle del suo capo di gabinetto perché lui non c’era. E fu proprio in quest’aula dove oggi siamo alla resa dei conti con Berlusconi, che il 19 luglio Enrico Letta lo difese mettendosi la mano sul cuore e giurando sulla sua estraneità e sulla sua innocenza. Allora c’era una sfiducia da respingere, oggi c’è una fiducia da incassare, ma Angelino ancora non si vede. Arriva con l’aria trafelata otto minuti dopo, mentre il presidente del Consiglio sta dicendo che «solo chi ha un’identità debole teme il confronto con gli altri».
Posa il suo iPhone sul banco, il vicepremier, si aggiusta la cravatta azzurra e poi ascolta l’amico Enrico intrecciando le dita delle mani. È scuro in volto. Anzi, sembra nero come la pece. Ha letto la prima pagina del Giornale con quel titolone: “Alfano tradisce”. E ora si prepara a una grandinata emotiva che ha messo nel conto da un pezzo. Forse è per questo che non guarda mai verso i banchi del centrodestra, e quando – un quarto d’ora dopo – nell’aula entra Berlusconi con le mani in tasca e lo sguardo torvo, lui non si gira e resta con lo sguardo fisso nel vuoto, dritto davanti a sé. Neanche il Cavaliere lo guarda. Tiene la mano destra sulla guancia, come se avesse un gran mal di denti, e ad applaudire Letta non ci pensa nemmeno.
È l’unico, Angelino, a stringere la mano al premier alla fine del suo discorso, mentre Berlusconi resta gelido. Cupi pensieri si affollano nella mente del segretario-ministro. Non basta a tirargli su il morale neanche l’intervento di Francesco Compagna, storico sostenitore del Cavaliere nella sua crociata contro i magistrati, che ricorda ai pasdaran berlusconiani quella volta che incontrò Alfano ai funerali di Filippo Mancuso, e dunque «non riesco a ritenerlo poco berlusconiano e tutte le altre cose…». Tutte le altre cose, eufemismo per non pronunciare la parola dell’infamia: traditore.
Poi mezza aula si svuota, di colpo, perché Berlusconi ha deciso di sentire come la pensano i suoi senatori: vuole la conta. Sa che 23 sono già con Alfano, ma quanti sono con lui? Il vicepremier aspetta che si contino, e quando il suo Iphone vibra per consegnargli il risultato, lo trascrive su un foglio per Letta: “32 per sfiducia, 24 per l’uscita dall’aula, 25 votano sì alla fiducia. Una decina di assenti o non schierati! Una decisione così grave assunta da 1/3 del gruppo!!!”. Letta scuote la testa e alza le spalle. Parlerà Berlusconi, gli fanno sapere. E quando finalmente il Cavaliere parla, lasciando tutti di stucco, la giornata cambia colore e Alfano cambia umore.
Alla Camera, alle quattro del pomeriggio, è tutta un’altra storia. Lì è Brunetta, solo soletto nella sua fila senza le amazzoni berlusconiane che lo affiancano nelle grandi occasioni, ad avere una faccia da funerale mentre scruta Alfano che siede ancora una volta accanto a Letta, prima alla sua sinistra e poi alla sua destra. E che il tandem viaggi a un’altra velocità, dopo il voto del Senato, lo si capisce anche quando i due – premier e vicepremier – si “danno il cinque” con vigorosa stretta di mano a braccia incrociate, mentre mezzo emiciclo si alza in piedi per applaudire il presidente del Consiglio. Lo si capisce dalla fila di deputati, da Marco Minniti a Beppe Fioroni, che vanno a congratularsi con tutti e due. E lo si capisce dal gesto del pollice alzato che Alfano fa prima a destra e poi al centro. È ok, tutto bene.
Là fuori, nel Transatlantico, tutti vogliono sapere se la scissione è definitiva, e come si chiameranno i “diversamente berlusconiani” di Alfano. Ma lui frena, e manda a dire che prima di rompere per sempre vuole parlare ancora con Berlusconi. Così, quando ormai è notte, la sua auto blindata varca il cancello di ferro di Palazzo Grazioli. E chissà se sarà davvero l’ultima volta.