Maurizio Gallo, Il Tempo 3/10/2013, 3 ottobre 2013
TOSSICI E STRANIERI, GLI «ABUSIVI» IN CELLA
Indulto, «indultino» e amnistia sono un po’ come un antibiotico utilizzato troppo spesso. Utili nel breve periodo per svuotare le prigioni ma del tutto inefficaci per mantenere il popolo delle celle nella norma, cioè in condizioni umanamente accettabili. Anche lo sviluppo dell’edilizia carceraria, una promessa ripetuta periodicamente e mantenuta raramente, rappresenterebbe un palliativo se non accompagnata da un’adeguata politica penitenziaria. Ma per risolvere l’emergenza-carceri basterebbe forse una sola iniziativa, che ridurrebbe di colpo il numero dei reclusi della metà: far scontare la pena in patria agli stranieri dopo l’espulsione e ai tossicodipendenti in una comunità di recupero. In Italia dietro le sbarre ci sono circa 23mila non italiani e 16mila «drogati», per un totale di 39mila persone. Visto che a settembre i galeotti nei 206 istituti dello Stivale erano 65mila, il calcolo è presto fatto: nelle celle ne resterebbero «solo» 26mila.
Ma ecco i dati segreti del Dap. Alla fine del 1991 i detenuti stranieri erano il 15,13% del totale. Il loro numero, però, è cresciuto anno dopo anno per effetto delle massicce ondate di immigrazione. Nel 2001 erano già il 29,57%, nel 2001 il 35,19. La classifica delle nazionalità vede al primo posto i marocchini, che lo scorso 30 giugno erano 4.384. A seguire i romeni (3.706) e gli albanesi (2.882). I tunisini si aggiudicano il quarto posto con 2.834 unità, i nigeriani il quinto con 980, gli egiziani il sesto con 471, i senegalesi il settimo con 403. Poi vengono i moldavi (244), i cinesi (308), i bosniaci (224), gli indiani (124), i georgiani (207) e i macedoni (120). Le nostre prigioni detengono anche uomini e donne di Paesi molto lontani. Ci sono 21 afghani, 28 del Burkina Faso, tre delle Bahamas, diciotto israeliani, uno del Kyrgyzstan, due di Macao, due malesi, un birmano e persino un galeotto con il passaporto della Polinesia francese.
Purtroppo il ricorso alle misure alternative al carcere, che potrebbe avere l’effetto di decongestionare le celle e far abbassare la tensione negli istituti di pena, è minimo. In base ai dati del Dap aggiornati allo scorso 31 luglio, c’erano solo 2946 detenuti che usufruivano della libertà vigilata, 194 di quella controllata (se la pena non è superiore ai 12 mesi), appena 11 in semidentenzione, che sostituisce le pene detentive brevi e comporta comunque l’obbligo di trascorrere dieci ore al giorno in carcere. La sospensione condizionale della pena, inoltre, riguarda solo sei persone.
Per non parlare del lavoro, che potrebbe rappresentare per i carcerati non solo un modo di trascorrere il tempo in modo proficuo ma anche la copertura di alcuni servizi utili alla società. Eppure, sempre a luglio, i detenuti che avevano il permesso di svolgere un lavoro di cosiddetta «pubblica utilità» erano soltanto 301, mentre quelli sanzionati per violazione del codice della strada, 4.264 e quelli adibiti a un lavoro esterno 563. Insomma una piccola percentuale della popolazione penitenziaria, non più ampia dell’8% e pari a un detenuto su tredici. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: tensioni, proteste, suicidi e rivolte.
Uno che di carcere se ne intende, il garante per i detenuti del Lazio Angiolo Marroni, ha puntato l’indice anche sulla carenza di agenti della penitenziaria. Secondo stime citate da Marroni, infatti, «in servizio nlle 14 carceri del Lazio e nell’istituto minorile di Casal Del Marmo ci sono il 25% di agenti in meno rispetto a quanto previsto dalla dotazione organica, cioè 3.166 effettivi contro i 4.136 previsti. Una dotazione inadeguata alle necessità - continua il garante - Basti pensare che nel 2001 l’Amministrazione Penitenziaria aveva determinato un organico di 4.136 agenti a fronte di 5.397 detenuti, mentre oggi, con oltre settemila detenuti presenti, gli agenti dovrebbero essere sempre gli stessi». Marroni fa notare, poi, che in quasi tutte le carceri «non ci sono più i vicedirettori e a Rebibbia Reclusione il direttore è part-time perché si occupa anche della scuola di Polizia Penitenziaria di via Brava, così come a Rebibbia Nuovo Complesso, uno degli istituti più grandi d’Italia, con circa 1800 ristretti, è senza direttore effettivo da più di due anni».
Un altro problema nei penitenziari del Belpaese è quello del diritto alla salute. «Quotidianamente - osserva ancora Marroni - riceviamo segnalazioni per attese di mesi per interventi chirurgici e per ogni tipo di prestazione, medici specialisti presenti in carcere poche ore al mese, come gli psicologi che devono occuparsi anche di centinaia di pazienti, per non parlare di appuntamenti e visite prenotate fuori dal carcere da mesi che saltano all’ultimo momento per mancanza degli agenti che dovrebbero garantire la scorta». Il risultato è malessere, rabbia e aumento dei decessi. Anche per Marroni, infine, la soluzione passa per il ricorso più ampio a misure alternative. «Tutto ciò - conclude il garante - non è un libro dei sogni, ma la strada tracciata nella bozza del codice penale predisposta, due legislature fa, dalla commisisone presieduta da Giuliano Pisapia. Una bozza dimenticata in qualche cassetto del ministero della Giustizia».
Maurizio Gallo