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 2013  ottobre 03 Giovedì calendario

ORGOGLIO ANTIQUARIO - I

settantacinque espositori che vi partecipano sono convinti che la XXVIII Biennale segnerà il rilancio dell’antiquariato. Nonostante la crisi economica. Anzi, proprio grazie a questa. «Perché sul mercato sono riapparse opere importanti, veri e propri capolavori fino ad oggi inaccessibili, che i collezionisti in crisi di liquidità hanno svenduto e che si possono riacquistare a prezzi più che abbordabili», spiega Giovanni Pratesi, segretario generale della manifestazione fiorentina. «Si smontano le vecchie collezioni e si formano nuove raccolte. Accadde la stessa cosa negli anni Trenta del Novecento, dopo la caduta di Wall Street. E nel secondo dopoguerra, quando americani e inglesi smantellarono molte delle loro raccolte, riapparve sul mercato internazionale una gran quantità di opere d’arte». Gli antiquari più anziani ricordano che, nelle gallerie di Londra, i dipinti erano accatastati contro le pareti con cifre che variavano da uno a cinque sterline al pezzo. Gli antiquari italiani capirono con straordinario tempismo quali enormi prospettive di collezionismo potevano avere le nuove classi industriali di un paese in piena ricostruzione. E iniziarono a riportare in Italia opere emigrate oltre confine nei secoli passati. A questa attività di recupero svolta costantemente dagli antiquari fino ad oggi è dedicata anche una mostra collaterale, intitolata «Ritorni N. 2» e organizzata al Museo Bardini, nella quale sono esposti pezzi di prestigio acquistati sul mercato internazionale e riportati in Italia.Nella mostra mercato, allestita a Palazzo Corsini dove sono attesi oltre venticinquemila visitatori da tutto il mondo, vengono presentate cinquemila opere tra marmi romani, disegni di Luca Giordano, tappeti dell’Anatolia, angeli in legno del Quattrocento, crocifissi del Cinquecento, alzate in maiolica del Seicento, specchiere veneziane del Settecento, bracciali in oro giallo e diamanti di fine Ottocento, mobili intarsiati di varie epoche. E siccome un oggetto può definirsi di antiquariato quando abbia superato i cento anni, cominciano ad affacciarsi sul mercato anche reperti risalenti ai primi del Novecento, finora classificati come modernariato. Ma con notevoli cambiamenti rispetto al gusto recente. «Il liberty, che aveva furoreggiato fino a un decennio fa, oggi è in disuso perché certe sue frivolezze non piacciono più ? nota Pratesi ?. Il Déco è invece guardato con attenzione. Vanno le cose senza eccessi. Sono apparsi marmi dorati di Adolfo Wildt. Ma soprattutto cominciano ad essere rivalutati artisti considerati fino ad oggi di fascia minore, come Marino Marini, Giacomo Manzù, Arturo Martini, Francesco Messina. E uno scultore secondo me straordinario: Antonio Maraini, nonno di Dacia, che finora ha scontato il fatto di aver partecipato, insieme a Marcello Piacentini, alla decorazione fascista. Anche con pochi soldi, un giovane antiquario può iniziare con queste opere un’attività importante e un giovane collezionista una raccolta notevole». Del resto la Biennale fiorentina, fin dall’esordio nel 1959, continua a monitorare i gusti e le tendenze degli acquirenti. Finiti i tempi del boom economico ? descritti mirabilmente da Alberto Arbasino ? quando la nuova borghesia emergente stipava i saloni con «branchi di comodini e divanini a bombature e riccioli» e con «mandrie e greggi di pendole e di quei morettacci veneziani che vien voglia di prendere a calci, perché non sanno far altro che porgere candelotti dorati o collane Chanel false». Dice Pratesi: «Negli anni Settanta arrivò l’epoca dei designer e delle riviste d’arredamento che affossarono l’antiquariato in favore di ambienti minimalisti dove sistemare solo divani bianchi e vasi da fiore. Oggi gli architetti di interni tornano a riproporre un quadro o un bel mobile antico. E trovano sul mercato ottime opportunità, come un Guido Reni o un Guercino». Nel frattempo sono comparsi i collezionisti cinesi «che cercano soprattutto pezzi del loro paese esportati in Europa nell’Ottocento dalla Compagnia delle Indie». E i russi «che vanno a caccia di arredi pieni di bronzi, a cui abbinare dipinti barocchi, ricchi di sentimento e teatralità». Gli americani? «Preferiscono la scultura barocca, dal Bernini agli artisti delle scuole regionali, come il genovese Filippo Parodi, il fiorentino Giovan Battista Foggini, il napoletano Giuseppe Sanmartino. In cambio, dall’America stanno rientrando in Italia opere del Rinascimento».
Lauretta Colonnelli