Paolo Bracalini, il Giornale 3/10/2013, 3 ottobre 2013
«IL PDL NON VOTERÀ IL GOVERNO» POI IL CASO SCHIFANI CAMBIA TUTTO
Sfiducia al governo, votata dall’assemblea dei senatori Pdl, e mezz’ora dopo fiducia al governo, con dichiarazione di voto letta da Silvio Berlusconi in persona, e non dal capogruppo in Senato, come prassi e come successo per gli altri partiti (Zanda per il Pd, Taverna per il M5S, Bitonci per la Lega).
Non è un caso. Buona parte dello psicodramma andato in scena al Senato ruota intorno al presidente dei senatori berlusconiani ( ancora? quanti?), il siciliano (come Alfano) Renato Schifani. La dichiarazione doveva farla lui, ma mezz’ora prima che la spia rossa si accendesse Schifani ha respinto l’amaro calice:«No Silvio,non me la sento, tu sai bene che la mia posizione è un’altra, è meglio che la legga tu». Si trattava infatti, a quel punto, di dichiarare il voto di sfiducia a Letta, come deciso poco prima dai senatori Pdl, al netto dei separatisti che non hanno preso parte alla riunione con Berlusconi. Una posizione che Schifani non condivideva, forte del suo feeling con Alfano, anche se l’ex presidente del Senato non ha mollato Berlusconi. Lo avrebbe fatto però un minuto dopo, come ha detto lui stesso al Cavaliere, dopo la decisione sulla sfiducia: «Se tu mi chiedi di votare la sfiducia io la voto, ti seguo come ho sempre fatto, ma un minuto dopo dò le mie dimissioni da capogruppo».
Un colpo durissimo per Berlusconi già tormentato dalle violenta frattura del Pdl e dalla decisione sul da farsi, con gli inviti alla prudenza anche dai cosiddetti falchi, gli scenari cupi anche dei consiglieri amici («Siamo tutti con te, ma pensiamoci bene, qui salta tutto» gli ha detto il senatore Caliendo in assemblea, mentre Carraro ha propostodirettamente il voto per la fiducia), col pallottoliere dei traditori impazzito («Attenzione Silvio che sono tanti, più di 25» gli hanno sussurrato aumentando il carico di incertezza). Un fuoco concentrico sui nervi del Cav che alla fine lo ha convinto alla marcia indietro, improvvisa e spiazzante.
Anzi, doppia marcia indietro, nel giro di pochi lunghissimi minuti. Perché Berlusconi, arrivato a Palazzo Madama deciso sulla sfiducia, si era poi convinto durante la riunione che fosse meglio seguire la prudenza e votare la fiducia, finché non gli hanno portato i dispacci del senatore Formigoni con i proclami su una pattuglia di «25 senatori » pronti a formare un «gruppo autonomo». A quel punto Berlusconi, umiliato dalla provocazione del suo ex governatore, si è infuriato, e il pendolo si è spostato di nuovo sulla sfiducia. Si trattava a quel punto soltanto di decidere se votare no alla risoluzione o uscire dall’aula (che al Senato equivale a voto contrario). Molti, sui sessanta senatori presenti, hanno spinto per quest’opzione, ma Berlusconi (qui il suggerimento accolto dal Cav arriva dal senatore Minzolini) è rimasto scettico: «Uscire dall’aula?Troppo ambiguo, la gente non capirebbe». Si vota, passa l’opzione sfiducia. Poi nei minuti successivi il ricambio di rotta, e qui decisivo, più di tutto e tutti, è stato appunto l’ultimatum di Schifani. Che alla fine, stremato, si è lasciato appuntare la medaglia al petto dai cronisti alla buvette: «Io il vincitore? Se lo dicono gli altri, va bene... Mi sono sempre battuto perché non ci siano diaspore. La forza del Pdl è la coesione, dialettica sì, ma mai lacerazione ».
Molto diverso il racconto fuori dalla ufficialità: «I conti sui possibili traditori, negli ultimi giorni, li abbiamo fatti tenendo conto di una sola variabile: con o senza Schifani – spiega un big Pdl dei fedelissimi di Berlusconi - Un po’ di senatori, se va via, se li porta dietro». Quanti? Almeno 2-3, ma forse di più, perché l’appartenenza regionale conta in questi posizionamenti, e la Sicilia (di Alfano e Schifani) dà parecchi deputati e senatori al Pdl. Cinque senatori siciliani (Gualdani, Marinello, Mancuso, Torrisi e Pagano) sono già usciti, altri potrebbero aggiungersi. È da lì e dalla Calabria, conteggiano i pallottolieri del Cav, che sono arrivate le defezioni maggiori. Oltre a Comunione e liberazione, più radicata al Nord, con Formigoni e Vignali pronti al nuovo gruppo, e Lupi traballante. «È stato il giorno del parricidio – commenta amaro il senatore Ceroni, uno dei sei insieme a Bondi, Minzolini, Nitto Palma, Repetti e Mussolini, che sono andati fino in fondo rifiutandosi di votare la fiducia - Non so che minaccia ha ricevuto Berlusconi... Certo quando crollano anche le certezze, con le persone di cui si fidava, crolla tutto. Attenti che qui c’è un piano preciso, scaricare Berlusconi e prendersi tutto il Pdl».