Piero Ignazi, la Repubblica 3/10/2013, 3 ottobre 2013
IN EUROPA SONO DIVERSI
C’è un bel paradosso nella nostra recente storia politica: prima degli eventi che si sono consumati nelle ultime ore, il più serio tentativo di fornire all’Italia una destra moderna ed europea era venuto dagli ex nostalgici del Msi-An. L’evoluzione culturale e ideologica di Gianfranco Fini e dei suoi più stretti collaboratori degli anni 2000 aveva condotto un partito di “reduci” alla rinuncia del loro passato e all’approdo ad una destra moderata-conservatrice. I passaggi lungo questa strada sono stati marcati da prese di posizione sempre più nette e inequivoche: dal diritto di voto agli immigrati alla libertà di scelta per la fecondazione assistita, dalla laicità dell’istruzione al riconoscimento delle coppie di fatto anche omosessuali. Quel tentativo sappiamo come è andato a finire: nell’irrilevanza più assoluta.
La parabola di quel tentativo è illuminante della eccentricità della destra italiana rispetto al contesto europeo.
La destra in Europa ha tre varianti: la tradizione liberale, quella conservatrice e quella confessionale. Nessuna di queste componenti è omogena al proprio interno perché le varianti nazionali - e le oscillazioni nel tempo degli stessi partiti nazionali – le hanno spostate ora verso destra ora verso il centro e la sinistra. I partiti liberali sono i più disomogenei.
Al loro interno vi sono liberal a 24 carati come i Lib-Dem britannici o i D66 olandesi, e arcigni moderati come il Venstre danese o il VVD olandese. I conservatori hanno il loro referente naturale nei Tory britannici che da oramai quarant’anni, grazie a Margareth Thatcher, si sono orientati in senso neoliberale e neoconservatore cioè favorevole più al libero mercato e all’imprenditorialità che alla coesione sociale e alla difesa della tradizione. I Tory inglesi, oltre ai tradizionali partner scandinavi, hanno trovato rispondenza nell’Europa meridionale – nel Partito Popolare spagnolo e portoghese – e persino, per quanto possa essere a prima vista sorprendente, nella recente incarnazione sarkoziana del partito gollista. A fianco della famiglia politica conservatrice vi sono i partiti confessionali, della tradizione cristiano-democratica. Questi partiti, rilevanti in Austria, Belgio, Olanda e Germania, hanno però perso molto della loro connotazione religiosa per diventare sempre più (moderatamente) conservatori. La famiglia, l’armonia e la coesione sociale, il libero mercato temperato dalla responsabilità sociale, la sussidiarietà hanno ormai rimpiazzato il riferimento alla religione. Proprio l’attenuazione dell’elemento confessionale ha condotto i partiti cristiano-democratici, sotto la guida decisa della Cdu, già negli anni Ottanta, ad aggregare gli altri conservatori nel Partito Popolare Europeo (che rimpiazzò il precedente gruppo cristiano democratico).
Al di là di tutte le differenze comunque queste destre convergono su alcuni fondamentali: l’identificazione con le istituzioni democratiche, il rispetto dello stato di diritto e, fatti salvi i Tory, l’europeismo. Ora, cosa c’è di comune con quei fondamentali quando la destra berlusconiana (e un tempo bossiana) esprime una insofferenza lacerante verso lo stato e le istituzioni, la separazione dei poteri, la regolazione dei conflitti, la ricerca del consenso tra le parti, in quanto tutto deve essere ridotto al comando dell’uno, alla concentrazione dei poteri e alla commistione degli interessi, alle decisioni immediate, e allo sradicamento degli ostacoli, sempre invocando l’unzione del popolo? Assai poco. C’è un grande vuoto da colmare.