Michele Brambilla, la Stampa 3/10/2013, 3 ottobre 2013
ADDIO ALLA LEADERSHIP ASSOLUTA NEL PDL ESPLODE IL DRAMMA UMANO
È stato il giorno dei sentimenti e dei risentimenti: delle lacrime, dei rimorsi, delle accuse di tradimento, di tutte quelle cose che succedono quando si sfascia una famiglia. Per questo ricorderemo il mercoledì 2 ottobre 2013.
non per un’ennesima fiducia votata a un governo, ma per la fine di una leadership assoluta cominciata, vent’anni fa, con una discesa in campo. Questa volta ad andarsene non sono i Casini o i Fini, semplici alleati per non dire ospiti sgraditi: questa volta il Cavaliere ha perso suoi pezzi di cuore.
Ecco la cronaca, più umana che politica, di uno psicodramma.
Senato della Repubblica, undici del mattino. I diversamente berlusconiani ormai hanno capito di aver vinto: fanno i conti dei senatori che voteranno la fiducia a Letta, e i conti tornano. Ma sui volti dei congiurati non si vedono sorrisi. Fuori dalla sala dove Alfano ha riunito i suoi incrocio Lupi, che sembra tormentato come il futuro fra’ Cristoforo dopo il duello che cambierà la sua vita. Cammina avanti e indietro. «Il problema», dice, «sono le cose sbagliate che riferiscono al presidente...». Al presidente chi, gli chiedo, Letta o Napolitano? «Ma no, Berlusconi!». Per lui «il presidente» è ancora Berlusconi. «Gli vanno a dire che noi siamo dei traditori, invece stiamo solo facendo l’interesse del Paese». Ha gli occhi lucidi come ce li ha lucidi anche un altro ministro, Nunzia De Girolamo: da giovanissima era di sinistra, poi s’innamorò di Berlusconi. Ora sembra una ragazza che deve dire al fidanzato che resteranno amici.
Anche Alfano ha la faccia tesa. Sorride invece il sottosegretario Giuseppe Castiglione, suo fedelissimo: «Fare un nuovo gruppo? E perché? Siamo in venticinque qui al Senato e il segretario Alfano è con noi. Quindi il Pdl siamo noi». C’è però un timore: se Berlusconi, con una mossa a sorpresa, voterà anche lui la fiducia, il governo Letta tornerà instabile, anche se avrà più numeri. Sono i paradossi della politica: forse solo di quella italiana, che vive di astuzie e tatticismi. Ma in giornate come queste ci sono i timorosi e gli ottimisti, e fra questi ultimi c’è Formigoni, che scende alla buvette mostrando un foglio con le venticinque firme dei responsabili, o dei traditori a seconda dei punti di vista. «Se vota anche Berlusconi la fiducia? Vuol dire che dà ragione a noi», dice ostentando sicurezza. Ma se anche i fedelissimi di Berlusconi votano la fiducia ve ne andate lo stesso dal Pdl? «Vedremo. Può darsi. Un nuovo gruppo? Potremmo chiamarci Popolari».
E mentre in una sala si studia il ribaltone, in un’altra i fedelissimi di Berlusconi organizzano la resistenza. Ci sono anche dei deputati, nonostante siamo al Senato. Incontro Mariastella Gelmini: «Il presidente resta il mio mito: ha sempre un neurone più degli altri. L’ho visto deciso, determinato». Mara Carfagna invece dice che l’ha trovato «molto provato, soprattutto per la delusione da un punto di vista umano». Mai il Cavaliere si sarebbe aspettato un simile ammutinamento. «Tradimento» è la parola che gira di più. «Guardi io non sono un falco», mi dice la Gelmini, «anzi sono una colomba-colomba. Una tortora. Ma traditrice, mai. È un principio che appartiene, prima ancora che alla mia concezione della politica, a quella della vita». Renata Polverini dice che questa storia di abbandonare Berlusconi «era preparata da tempo», e la Gelmini precisa: «Quando ti dicono che faranno il gruppo separato da noi anche se votiamo la fiducia, diventa chiaro che è una cosa preparata da tempo. È un’operazione targata Cl: Formigoni-Mauro-Lupi». E Alfano?, le chiedo. «Gli sono sempre stata vicina. Ma umanamente mi ha molto deluso», dice lei. Un deputato che non vuole apparire ci mette un po’ di veleno: «Formigoni dice che terrà separati i gruppi parlamentari? Avrebbe fatto meglio a tenere separati i conti in banca in Lombardia».
Ecco al bar Carlo Giovanardi, uno dei congiurati. Gli dico: alla fine tornate con Casini... «Non scherziamo! Noi stiamo nel centrodestra». Dice che le ha provate tutte per convincere Berlusconi: «Ma ha voluto ascoltare i falchi». La pitonessa Santanchè? «Io la chiamo Pavolinessa», e il riferimento è ad Alessandro Pavolini, ministro e segretario del partito fascista repubblicano, detto «l’ultima raffica di Salò» perché morì fucilato a Dongo poco dopo la morte di Mussolini. Ecco, c’è la tentazione, da parte di alcuni falchi, di «cercar la bella morte»: «Sono quelli - dice Giovanardi - che hanno rovinato Berlusconi».
Il quale ha poi uno scatto dei suoi: vota la fiducia creando un po’ di scompiglio. «Ero tra quelli che gli suggerivano di votarla lo stesso», dice Paolo Romani. Ma lei, chiedo, è un falco o una colomba? Si scopre che, come al solito in Italia, c’è una via di mezzo: «Sono un trattativista. Se avessimo votato no alla fiducia, avremmo fatto un enorme regalo al Pd che si sarebbe trovato al governo senza Berlusconi».
È la mossa che non salva il Cavaliere dalla sconfitta, ma gli permette di guadagnare un po’ di tempo. Gli basterà per riportare a sé i dissidenti? È questo l’argomento principale nel pomeriggio al Transatlantico della Camera. Dove i dubbi sono ancora tanti. «Ma non sono più i tempi di certe campagne acquisti», dice un deputato pidiellino: «Che cosa potrebbe offrire oggi Berlusconi per ritornare con lui? Tra un po’ decade. E chi vuoi che vada in soccorso a uno così in difficoltà?». Cinismo, o forse realismo.