3 ottobre 2013
Testo tratto da “Ma io vedo più in là. Autobiografia dello sguardo più eretico del cinema italiano” di Tinto Brass e Caterina Varzi (Tea, 2012)DA BAMBINO Da bambino trascorrevo molto tempo a disegnare, un giorno mio nonno disse: «Abbiamo un piccolo Tintoretto in casa»
Testo tratto da “Ma io vedo più in là. Autobiografia dello sguardo più eretico del cinema italiano” di Tinto Brass e Caterina Varzi (Tea, 2012)
DA BAMBINO Da bambino trascorrevo molto tempo a disegnare, un giorno mio nonno disse: «Abbiamo un piccolo Tintoretto in casa». Da Tintoretto si passò a Tinto, e questo soprannome non mi ha mai abbandonato. Quando ero bambino, il mondo degli adulti e le sue regole non mi interessavano.
A 17 ANNI Mi mandarono via da casa perché ritenuto un pessimo esempio per i miei fratelli e cambiarono la serratura della porta. Avevo diciassette anni.
TRASGRESSIONE, TABÙ E UTOPIE Mi affascinavano le utopie, la trasgressione, il cinema. Con Senso ’45 e con La chiave ho comunque sfidato ogni tabù.
LA CRITICA Nel mio cinema non c’è una frattura tra un primo periodo serio, impegnato e militante, e un secondo frivolo, leggero e superficiale. È sempre stata la ricerca di linguaggio ad appassionarmi. Perciò, a prescindere dalle suddivisioni cronologiche da parte della critica, nei miei film è il piano del significante che merita attenzione.
DIETRO LA MACCHINA I film li scrivo, li preparo, li giro stando dietro la macchina e li monto. Sono protagonista in ogni fase di lavorazione. Ho bisogno comunque di uno staff operativo di fiducia che mi dia certezze sul piano tecnico.
IL MONTAGGIO Il montaggio imprime alla pellicola il mio stile personalissimo, è un momento fondamentale per la realizzazione del film. In questa fase le mie intenzioni, grazie al gioco dei dosaggi espressivi, acquistano la loro univoca chiave di interpretazione.
CALIGOLA Se non posso montare il film, come è accaduto in passato con Caligola per i contrasti con i produttori, non lo firmo neanche come regista. Non ero infatti il regista di Caligola, perché a seguito della mia estromissione dal montaggio e sonorizzazione, ho disconosciuto la paternità del film come edito dalla produzione...
SNACK BAR BUDAPEST In effetti, rispetto alla mia produzione precedente e successiva, Snack Bar Budapest è un film piuttosto singolare, che però ha il merito di avere anticipato la corrente di film pop poi tanto di moda. L’atmosfera è surreale e onirica, spesso di taglio fumettistico, e quasi sempre dissacratoria. Intendevo cambiare genere con un giallo stravagante e grottesco ambientato fuori dal tempo, in una città di mare che potrebbe essere qualsiasi posto del mondo, e con personaggi eccentrici.
DALLE GAULOISES AL SIGARO Fumavo le sigarette più forti: le Gauloises, senza filtro. Ne fumavo quattro pacchetti al giorno fino a quando decisi di smettere a causa di un malore per intossicazione da nicotina. Era il 1976 e stavo girando Caligola. Prima di svenire, ho avuto un capogiro e una strana visione: mi sembrava di essere al luna park, su una giostra che girava vertiginosamente. John Gielgud, vedendomi improvvisamente accasciato, urlò: «Wonderful performance!». Pensò che stessi mimando l’azione di uno degli attori, come di solito mi piace fare. Quella sera stessa cominciai a fumare il sigaro.
I MIEI SOGNI E LE MIE DONNE Durante la lavorazione dei miei film riesco a innescare una forte complicità con le mie attrici, e ho sempre avuto ottimi rapporti con ciascuna di loro. Ho fatto di tutto per realizzare i miei sogni. Per vivere fino in fondo l’amore che ho sempre avuto per la vita. Ho seguito ogni mia aspirazione per aprirmi un mondo nel mondo, e essere sempre me stesso il più possibile. Nonostante abbia avuto difficoltà di ogni genere, mi considero un privilegiato per il fatto di essere un artista e nutro una certa compassione per coloro che non lo sono.