Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Oggi si vota in Italia, in Francia, in Germania, in Grecia, in Serbia. Ed è solo l’inizio: seguiranno elezioni in Irlanda, poi di nuovo in Germania, quindi Francia, poi Olanda…
• Sono elezioni diverse, però.
Sì. Noi eleggiamo un migliaio scarso di consigli comunali (oggi e domani), in Francia c’è il ballottaggio tra Sarkozy, presidente uscente, e Hollande, sfidante socialista. In Germania va alle urne lo Schleswig-Holstein. In Grecia è un turno di elezioni generale: presidente, Parlamento, comuni. Domenica prossima toccherà a un altro Land tedesco, il NordReno-Westfalia. Gli irlandesi, a fine mese, voteranno sui vincoli di bilancio imposti dal Fiscal Compact voluto dalla Merkel. Quindi ci saranno le politiche francesi, cioè il voto per il Parlamento. L’Olanda dovrebbe essere chiamata ad esprimersi a settembre. Badi, è persino possibile che in questo giro dei turni elettorali abbia dimenticato qualcosa.
• C’è un qualche denominatore comune in tutte queste elezioni?
Sì, in ogni Paese, compreso il nostro, in realtà si voterà pro o contro l’euro. Il campanello d’allarme è suonato in Francia, nel primo turno delle presidenziali, quando il partito di estrema destra di Marine Le Pen ha preso quasi il 20% dei voti. Marine ha commentato così il suo successo: «Tutti questi politici hanno ingannato il popolo. Siamo gli unici ad avere un programma credibile sull’Europa delle patrie, sul nazionalismo economico e sociale, sul ricorso ai referendum. Per questo sono convinta che il Front National sia destinato a crescere ancora nelle prossime scadenze elettorali». Questo ragionamento sta dietro all’avanzata dei partiti anti-europeisti, che si collochino a destra o a sinistra: il “ritorno alla patria” ha in questo momento una tale forza di seduzione che, secondo gli osservatori, almeno la metà degli estremisti di destra lepeniani voterà oggi per Hollande. Del resto, da noi questi discorsi li fa anche Beppe Grillo. Quale analisi è più facile di quella che dà all’euro tutte le colpe? Quando l’euro non esisteva, la crisi non c’era, e quindi… Inoltre sembra chiaro che l’euro sia stato un affare solo per la Germania, che adesso impone a tutti di tirar la cinghia mentre ingrassa sui profitti che gli ha garantito la moneta unica. Il bello è che, rovesciato, questo discorso muove anche gli elettori tedeschi, una parte sempre più consistente dei quali pensa: perché dovremmo pagare i debiti degli altri? Ridateci il marco! Dimenticando tutti, naturalmente, che la crisi nasce dalle politiche di indebitamento delle banche americane e delle loro consorelle del resto del mondo, banche tedesche comprese. La presenza dell’euro in questa tempesta è puramente casuale e ci ha forse evitato, come minimo, tassi d’interesse alle stelle.
• Come mai un’elezione regionale – quella tedesca – viene seguita con tanto interesse?
Si tratta di valutare la tenuta dei liberali, che adesso stanno al governo con la Merkel. Se fossero puniti troppo duramente per le loro scelte rigoriste ed europeiste, Frau Merkel potrebbe avere la tentazione di andare a elezioni anticipate per rifare la Grande Coalizione (Grosse Koalition) con i socialdemocratici. L’eventuale vittoria di Hollande in Francia potrebbe giovare ai socialdemocratici tedeschi. Le aperture a sinistra di Berlino e Parigi, però, potrebbero non piacere ai mercati e inaugurare una nuova stagione di vendite dell’euto. Siamo sul filo del rasoio.
• E se in Grecia vincessero quelli che non vogliono pagare i debiti?
Costoro sarebbero il 60 per cento e, se questa valutazione è vera, prenderanno di sicuro il potere. Si tratta però di molti partiti diversi, cioè non è detto che alla fine emerga una leadership chiara capace di presentarsi in faccia a Berlino con un bel “No”. In ogni caso, un nuovo governo che annunciasse di non voler pagare i debiti sarebbe ipso facto fuori dall’area euro. Laggiù tornerebbe a circolare la dracma, che però, sui mercati internazionali, nessuno vorrebbe. Quindi: scaffali vuoti ad Atene.
• Le altre elezioni girano intorno allo stesso problema?
Sì. Le banche tedesche in questi due anni hanno prestato alle banche di Dublino cento miliardi di euro. Un collasso dell’idea europeista in Irlanda avrebbe perciò conseguenze gravi sulla Germania. In Olanda il governo è caduto perché l’estrema destra, che lo teneva in piedi dall’esterno, ha rifiutato i sacrifici chiesti dalla Merkel. Il primo ministro dimissionario, Mark Rutte, è un europeista convinto. Il suo ex alleato di estrema destra, Geert Wilders, no. «L’euro non è nell’interesse del popolo olandese» dice «Vogliamo essere padroni in casa nostra, vogliamo il ritorno del fiorino». Wilders ha commissionato uno studio a Londra da cui si evince che per tenere in piedi gli Stati meridionali ci vorrebbero 1,3 miliardi di euro e che se l’Italia e la Spagna chiedessero aiuto gli altri stati dovrebbero sborsare duemila e 400 miliardi. Lo stesso studio prevede che la moneta unica non supererà l’anno 2015
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 6 maggio 2012]