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 2012  maggio 06 Domenica calendario

ROMA —

La sua società sta organizzando la spending review per il governo britannico e per quello messicano. Sul modo di organizzare le informazioni e consentire così una scrematura degli sprechi ha messo a punto un apposito software. Ezio Melzi, direttore generale della BravoSolution, è così pronto a dare suggerimenti al governo italiano, impegnato in una severa revisione della spesa per rimettere in carreggiata i conti pubblici e ridare spazio, e soprattutto risorse, al sostegno della crescita e dell’occupazione. «L’Italia è l’unico Paese, tra i grandi, a non aver fatto ancora una spending review», dice, rilevando che il suo suggerimento è di mettere in piedi un meccanismo strutturale che «possa essere replicato ogni volta ne sorga il bisogno».
Come funziona la piattaforma informatica della spending review?
«È un insieme di tecnologia e metodo. In sintesi, richiamando ciò che la società sta facendo dal 2003 in Inghilterra, si tratta di un percorso in tre tappe. Si inizia con la gestione in modo trasparente degli appalti pubblici. Quindi si passa ai progetti di razionalizzazione delle spese e infine si approda all’analisi delle tipologie degli acquisti».
In Italia da dove si dovrebbe iniziare?
«A ispirare l’intera operazione è l’urgenza di intervenire sulle spese per ragioni di bilancio. Non si può andare troppo per il sottile con le tecnologie. Ma sarebbe opportuno che parallelamente all’azione più immediata siano attivati meccanismi e metodologie per analizzare in modo più strutturale le spese, in modo da fare i controlli periodicamente. È questo l’obiettivo, per esempio, di quello che stiamo facendo nel Regno Unito: rendere i processi di spending review replicabili nel tempo».
Ma lo sa lei che in molte amministrazioni italiane è difficile anche canalizzare le informazioni sui flussi di spesa?
«Certamente, ma l’inizio del lavoro è raccogliere le informazioni e con un apposito software renderle omogenee sia che arrivino su file semplici, sia sofisticati. E si parte da dove è possibile. Diciamo che si può svolgere un lavoro efficace nell’amministrazione centrale, nelle grandi strutture sanitarie e nei grandi enti locali, Comuni o Regioni. L’approccio anglosassone, per esempio è di iniziare dal centro ampliando via via il campo di azione».
Faccia qualche esempio concreto...
«La raccolta dei dati e la loro omogeneizzazione serve per poter analizzare e quindi razionalizzare le spese. Per esempio per verificare che le forniture alla pubblica amministrazione provenienti da uno stesso soggetto non abbiano prezzi diversi. E per poter mettere in atto economie di scala negli acquisti. In Inghilterra, abbiamo per esempio notato che due Comuni limitrofi spendevano per il gas da riscaldamento un ammontare diverso del 30%».
Occorre allora verificare non solo le spese ma anche i meccanismi di acquisto?
«La terza fase del processo di spending review consente varie possibilità: si potrebbero per esempio mettere online i profili di spesa dei vari Comuni per dare ai cittadini strumenti di comparazione e valutazione sugli amministratori. Più in concreto, per gli acquisti si potrebbe prevedere un’unica organizzazione per i ministeri, affidata a un manager esperto in materia, per decidere le spese più generali di viaggio o di pulizia o di cancelleria. E si dovrebbe passare dal regime delle convenzioni a quello dei contratti che consentono di spuntare prezzi più convenienti».
Ma quanto si può risparmiare con un sistema di verifiche replicabili?
«In via di massima dal 5 al 10% nel privato e dal 10 al 20% nel pubblico».
Stefania Tamburello