Carlo Rovelli, Domenica-Il Sole 24 Ore 6/5/2012, 6 maggio 2012
L’EROE CHE OSÒ CONTARE LA SABBIA
Fra le molteplici radici culturali del mondo in cui viviamo, il pensiero razionale greco e i testi biblici rappresentano due rami influenti. Sforzi per mettere a confronto questi due mondi sono stati sviluppati da intellettuali cristiani fino dalla tarda antichità, con esiti vari, e ancora oggi Cristianesimo e Islam si interrogano sul problema del loro rapporto con la ragione. È possibile che elementi di questo dialogo si fossero già aperti due secoli prima di Cristo? L’ipotesi è una delle piccole gemme che si possono trovare nella traduzione commentata di Giuseppe Boscarino dell’Arenario di Archimede.
Archimede, vissuto in Sicilia immediatamente prima dell’occupazione romana, è uno dei grandi uomini di scienza dell’antichità. Di lui ci restano pagine di stupefacente ricchezza matematica, che hanno giocato un ruolo importante per la rinascita del pensiero scientifico in epoca moderna e hanno continuato a ispirare sviluppi della matematica fino all’Ottocento. La complessità della figura di questo scienziato antico e la portata della sua influenza sono bene illustrate dal libro Il Grande Archimede di Mario Geymonat, latinista e filologo scomparso il mese scorso. Mario era figlio di Ludovico Geymonat, uno dei maggiori epistemologi italiani del Novecento, la cui vasta Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico ha avuto un’influenza profonda e benefica sulla cultura italiana, aprendola alla filosofia della scienza internazionale e ridando valore culturale e filosofico al pensiero scientifico, così soffocato dalla nostra scuola.
Di Archimede ci resta anche questo strano libretto, L’Arenario, in cui Archimede conta granelli di sabbia. Contare granelli di sabbia non sembra occupazione degna di un sommo scienziato. Cosa nasconde il gioco dell’Arenario?
L’Arenario non è un vero testo scientifico. È innanzitutto un testo di divulgazione, come si comprende da un riferimento a un’altra opera più tecnica (perduta) dello stesso Archimede. Il problema è la costruzione di un sistema aritmetico. Semplicemente, i numeri usati nel III secolo prima della nostra epoca erano limitati e non permettevano di contare oggetti numerosi. Il sistema di numerazione era quello greco, simile a quello romano in cui X indica dieci, V indica cinque e quindici si scrive XV. Il numero più grande che avesse un nome era diecimila, chiamato "miriade", indicato in greco con la lettera M. Non vi era modo di scrivere, e quindi di usare, numeri molto più grandi di così. Archimede affronta il problema e costruisce un sistema per indicare numeri arbitrariamente grandi. La soluzione è chiamare "numero del secondo tipo" una miriade di miriadi. Cosicché due numeri del secondo tipo sono due miriadi di miriadi, cioè duecento milioni. Una miriade di miriade di numeri del secondo tipo fa un numero del terzo tipo, cioè dieci milioni di miliardi, e così via: una soluzione simile a quella usata dalla scienza moderna, che tratta grandi numeri usando le potenze.
Nell’Arenario Archimede dà una dimostrazione dell’utilizzo di questo sistema stimando il numero di granelli di sabbia nel mondo. Anzi, va più in là: stima il numero di granelli di sabbia che riempirebbe l’intero universo se l’intero universo fosse riempito di sabbia. Prima stima quanti granelli di sabbia riempirebbero un seme di sesamo, poi quanti semi di sesamo riempirebbero una scatola larga come il suo indice, quante scatole riempirebbero la Terra, quante Terre il sistema solare, e finalmente quanti sistemi solari riempirebbero l’intero universo, secondo le teorie astronomiche dell’epoca. Nel corso della carrellata, ci informa sulle accurate tecniche di misura che usa per misurare il diametro e la distanza del Sole e della Luna, e sulle teorie astronomiche che conosce. Interessantissimo è il riferimento alla teoria eliocentrica di Aristarco, che anticipa Copernico di quindici secoli. Il risultato finale, è che il numero di granelli di sabbia che riempirebbero l’universo è dato da mille miriadi di numeri dell’ottavo tipo, cioè, in linguaggio moderno, dieci alla sessantatre. Un numero grande, ma definibile e concepibile.
Il gioco è raffinato, e la presentazione di Archimede, ancorché impeccabile è offerta con un sorriso sulle labbra. Eppure la sensazione resta che qualcosa di più essenziale sia in gioco. All’inizio del testo, formulato come una lettera, l’obiettivo polemico è esplicito: «Alcuni pensano, o re Gelone, che i granelli di sabbia non si possono contare». E il pensiero corre alla Bibbia: «I granelli di sabbia sulle rive dei mari, le gocce della pioggia, i giorni di tutta la storia, chi potrà mai contarli? L’altezza del cielo, l’estensione della Terra, la profondità degli abissi chi potrà mai esplorarli? ... Uno solo possiede la sapienza: il Signore». Con queste parole possenti si apre uno dei libri più umani e moderni della Bibbia, l’Ecclesiastico. Anche qui si parla di contare granelli di sabbia, ma per dire che non si possono contare. Può esserci una relazione?
L’Ecclesiastico è stato probabilmente scritto in Palestina in epoca ellenistica, cioè in un periodo di dominazione politica e culturale greca, e tradotto poco dopo in greco in Egitto, come racconta esplicitamente il testo stesso, verosimilmente ad Alessandria, dove la dinastia greca dei Tolomei era impegnata in uno sforzo di raccolta, traduzione, studio e conservazione del sapere antico. È a questo sforzo che dobbiamo la Bibbia poi fatta propria dalla tradizione ebraica, cristiana e mussulmana. La Bibbia che conosciamo, in altre parole, è stata raccolta ed edita ad Alessandria, per iniziativa di sovrani greci illuminati: sono stati l’universalismo e il multiculturalismo greco a trasmetterci la Bibbia, più che il particolarismo culturale dell’antico mondo ebraico. Nella stessa Alessandria, in quelle stesse istituzioni di ricerca pubblica, la celebre Biblioteca e il Museo, prototipi delle Università moderne, aveva probabilmente studiato un brillante giovane siciliano, che resterà poi in contatto epistolare con gli intellettuali alessandrini tutta la sua vita: Archimede.
A ben guardare il traduttore dell’Ecclesiastico in greco sostiene nel testo di avere conosciuto il libro nel trentottesimo anno del regno di Evergete, cioè circa 140 anni prima dell’era moderna, e Archimede era già stato ucciso dai Romani a quella data. Ma forse le date tradizionali devono essere prese con le pinze e comunque il giovane Archimede ad Alessandria potrebbe essere venuto direttamente in contatto con il testo ebraico, o con opere ebraiche simili. Ad Alessandria si traducevano sistematicamente in greco i testi di sapienza ebraici fin da oltre un secolo prima. E infine, la figura retorica dei granelli di sabbia che non si possono contare, come simbolo dei limiti umani invalicabili, è precedente allo stesso Ecclesiastico. Dice per esempio Pindaro, secoli prima, «la sabbia sfugge al numero».
Considerato tutto questo, forse l’obiettivo polemico di Archimede comincia a diventare trasparente. Con un volo d’ala illuministico (ante litteram) Archimede si ribella a quella forma di sapere che vuole che ci siano misteri intrinsecamente inaccessibili al pensiero dell’uomo. Archimede non sostiene di conoscere con esattezza le dimensioni dell’universo, o il numero preciso dei granelli di sabbia. Non è la completezza del proprio sapere che difende. Al contrario, è esplicito sul valore approssimativo e provvisorio, delle stime che fa. Parla per esempio di diverse alternative riguardo alle dimensioni dell’universo, sulle quali non ha opinione definita. Il punto non è una presunzione di completezza del suo sapere. È il contrario: la consapevolezza che l’ignoranza di ieri possa essere illuminata oggi e quella di oggi potrebbe essere illuminata domani. Il punto centrale è una ribellione contro la rinuncia a voler conoscere. Una dichiarazione di fede nella conoscibilità del mondo e una replica orgogliosa a chi si accontenta della propria ignoranza e delega altrove la sapienza.
Sono passati molti secoli e il testo oggi dell’Eclesiastico sta, con il resto della Bibbia, in innumerevoli case del pianeta, mentre il testo di Archimede è letto da pochissimi. Archimede è stato massacrato in circostanze mai chiarite dai Romani, durante il sacco di Siracusa, ultimo orgoglioso angolo di Magna Grecia a cadere sotto il giogo romano, durante l’espansione di quel futuro impero che presto avrebbe assunto L’Ecclesiastico fra i testi fondatori della propria religione di stato. Posizione dove sarebbe rimasto per ben oltre un millennio. Durante quel millennio, i calcoli di Archimede resteranno incomprensibili a tutti.
Ma riprendiamo punto per punto i dettagli del testo dell’Ecclasiaste: il numero dei granelli di sabbia sulle rive dei mari lo ha stimato Archimede, il numero delle gocce di pioggia entra nei calcoli dei climatologi, i giorni di tutta la storia dal big bang sono stati determinati dalla cosmologia, l’altezza del cielo ha cominciata a misurarla Aristarco, l’estensione della Terra l’ha valutata Eratostene qualche decennio prima di Archimede e oggi è conosciuta, come la profondità degli abissi marini, con precisione millimetrica. Nel frattempo si sono aperte domande nuove e misteri nuovi. La questione posta da Archimede è ancora attuale: vogliamo cercare di guardare là dove ancora non capiamo, oppure accettare l’idea che il sapere ci sia precluso?
Il raffinato gioco dell’Arenario non è forse solo la divulgazione di un’audace costruzione matematica, o un virtuosismo di una delle più straordinarie intelligenze dell’antichità. Lo si può leggere anche come un grido d’orgoglio della ragione, che conosce la propria ignoranza, ma non per questo è disposta a delegare ad altro la sorgente del sapere. È un piccolo, riservato, e intelligentissimo manifesto contro l’oscurantismo, che può dilagare. Quanto mai attuale.