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 2012  maggio 06 Domenica calendario

In un saggio di Agostino Paravicini Bagliani, intitolato Il corpo del Papa (Einaudi 1994), si esamina la dimensione umana della vita dei successori di Pietro, soffermandosi sul periodo medievale

In un saggio di Agostino Paravicini Bagliani, intitolato Il corpo del Papa (Einaudi 1994), si esamina la dimensione umana della vita dei successori di Pietro, soffermandosi sul periodo medievale. Leggendolo si comprende che il pontefice, oltre a essere dotato di grande potere spirituale e temporale, era sottomesso a un complesso dispositivo retorico e rituale, a purificazioni simboliche. Appartiene, per esempio, a questa prospettiva la candida veste che ancora oggi indossa. E le malattie? La gente comune le ha sovente intese come una violazione della sua sacralità. Il corpo del Papa è per il fedele qualcosa di speciale. Partendo da questa opinione, riferiremo alcuni momenti di una storia clinica che ha suscitato ansie, mobilitato medici, favorito preghiere. Nulla di esaustivo, sia chiaro; sono soltanto alcuni frammenti dai quali abbiamo escluso gli ultimi Papi. Se Pio XII soffriva di un’ernia gastrica diaframmatica che gli causava un singhiozzo incessante, il grande nemico dei liberali, Pio IX, alla fine del suo pontificato era afflitto da una epilessia altalenante. Qualche maligno aggiunse che se la trascinava dalla gioventù. Ma il suo corpo non suscitò più l’antico rispetto, tanto che durante le esequie ci furono scontri: gli anticlericali con grida irriverenti, che non è il caso di riportare, attaccarono il corteo funebre con sassi e bastoni, intenzionati a gettare la salma del Papa nel Tevere. Il più sofferente dell’epoca moderna, prima di Giovanni Paolo II, fu Innocenzo XIII, nel secondo decennio del Settecento. Oltre le notizie dei clinici, ci sono giunte quelle dei canonisti che citano questo caso per discutere la questione della rinuncia al pontificato di un pontefice infermo. Sappiamo che soffrì per due anni di calcolosi cronica, con dolori fortissimi. E non soltanto. Una testimonianza dello storico portoghese De Novaes, traccia il profilo del suo operato e dei problemi di salute: «Egli non ebbe il tempo di segnalarsi con azioni strepitose, perché le malattie da cui fu tormentato non gli permisero di fare tutto ciò che il suo zelo gli ispirava». Ed ancora: «Essendo il suo corpo estremamente grasso e non volendosi egli confidare, dopo la morte di un suo cameriere, a un altro, per aiutarlo a raccogliere le viscere, che spesso gli cadevano da una rottura, che egli procurò sempre di occultare, la grassezza gli causò un’idropsia, e la rottura un’infiammazione interna, per cui gli venne un’ardente febbre». A lessandro VI, il celebre Borgia, si ritenne colpito da infezione sifilitica basandosi sulle affezioni veneree dei suoi congiunti. Di essa soffrivano i figli: Lucrezia, tra i numerosi altri, ebbe rapporti con il fratello Cesare (il Valentino di Machiavelli) e — come ricorda il Guicciardini nella sua Storia d’Italia — anche con «il padre medesimo». I cronisti, inoltre, segnalano che Pelagio II (morto nel 590) morì a causa di «lues inguinaria», ma si trattava di peste bubbonica e le descrizioni degli storici confermano. Di certo ne soffrì Clemente VII, ma beccò l’infezione quando era ancora cardinale. Marin Sanudo, vissuto a cavallo tra il XV e il XVI secolo, utilizza le relazioni degli ambasciatori veneti per scrivere le sue vite dei romani pontefici. A Giulio II regala l’aggettivo «terribile» e nel novembre del 1503 il pettegolo della Serenissima nota che sua santità è costretto a sospendere le udienze per le crisi recidive e acute di gotta, giacché nel settembre era «risentito di gote e franzoso per alcuni dì». Non risparmia nemmeno i dettagli: marzo 1505, i salassi; febbraio 1506, ecco il «mal di emaroide»; qualche mese dopo curiosa negli scritti di Giovanni da Vigo per scoprire un intervento chirurgico utile a «curare un certo nodo carnoso ulcerato come una gran castagna». Infine: era sofferente anche di artrosi e cercò sollievo con intrugli a base di latte e vermi. Di gotta furono tormentati, tra gli altri, Sisto IV, Clemente VIII, Innocenzo XI. E anche Pio III, il primo Papa di cui si ricordi un intervento chirurgico: venne operato il 27 settembre 1503 alla gamba destra per eliminare, appunto, il gonfiore procurato dalla gotta. E un’altra malattia che mietè vittime, sino a colpire interi conclavi, fu la malaria. Ne soffrirono, per esempio, in epoca medievale Gregorio VII e Callisto II, Innocenzo III e Gregorio IX. Il cardinal Fieschi, futuro Innocenzo IV, la contrae proprio nel conclave del 1241. Alessandro VII, invece, è segnalato — dai dispacci di Onorato Gino alla Corte Sabauda — sofferente di «dolori renali» e «febre gagliarda», tanto da emettere «lamentevoli gride». Tormenti che si alternavano a stillicidi sanguigni e purulenti, così frequenti da portarlo «fuori di sentimento». Lo inducono persino a «metter la testa nella muraglia». Sebastiano Ferrari invia a Mantova la notizia che il 5 marzo 1667 Sua Santità «fu assalita da dolori grandissimi, con emissione di sangue dalla verga, et altre parti». Patì la pleurite invece Gelasio II (la descrive Pandolfo Pisano), mentre Berbardo di Guido parla dell’apoplessia di Niccolò III. Ludovico Antonio Muratori raccoglie cronache che testimoniano la «intensa emozione» di Bonifacio VIII, il pontefice che stava sullo stomaco a Dante; sappiamo inoltre che Paolo IV, colpito da forti attacchi di catarro, usava mangiare parmigiano in quantità pantagrueliche. Se la cavò meglio di Clemente VIII, che soffriva di apoplessia e si fasciava il capo con viscere di agnello castrato, dopo aver obbedito a un medicastro che lo convinse del carattere magico di un simile puzzolente rimedio.