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 2012  maggio 06 Domenica calendario

MA QUALE POPULISMO: ANCHE TARANTINO AMA IL CINEMA DI GENERE

Era dalla fine del Novecento che non sentivo parlare di cinema populista. Si sarà risvegliato qualche dinosauro. Così vengo omaggiato da Paolo Mereghetti con ben due pagine sulla «Lettura». Titolo: Nuovo cinema populista. Contro la dittatura del consenso serve una rivoluzione culturale. Chi la dovrebbe cavalcare però, questa rivoluzione culturale, non c’è scritto. Peccato. Mi sono sempre sentito, io, come il rivoluzionario Cuchillo, invece sono additato come cattivo maestro di «un’operazione ambigua e pericolosa» che, puntando sulle pellicole di cassetta, ha portato allo sfacelo attuale del nostro cinema, dominato dalla commedia più triviale (dai Soliti idioti a Benvenuti al Nord). Puntuali arrivano le battute sullo sdoganamento screanzato di W la foca di Nando Cicero (ma perché darà tanta noia? Capisco i compianti Tullio Kezich e Lietta Tornabuoni, ma Mereghetti conosce il dibattito ciceriano…) e di Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, presentati nella mia «sedicente» rassegna veneziana «Italian Kings of B’s» di ben nove anni fa. «Opere assolutamente prive di valore». Ci risiamo. Ma la mia battaglia l’ho già vinta. «Italian Kings of B’s» e le due rassegne che ho curato per la Venezia di Marco Müller, «Spaghetti Western» e «Commedia Italiana», sono state tutte dei grandi successi (specialmente il western). Ma sono legato alla prima, perché è da qui che, grazie alla supervisione di Quentin Tarantino, per la prima volta in Italia, si rimise in moto la discussione sul cinema di genere italiano. Così, se Inglorious Basterds o il nuovissimo Django Unchained sono nati dalla rilettura critica internazionale della grande stagione del nostro cinema di genere, questo non può che farmi contento. Come lo saranno gli artigiani che hanno dato vita a quel cinema, perché vedranno finalmente riconosciuti i loro meriti. In Inglorious Basterds Tarantino regala perfino un piccolo riferimento al famigerato W la foca nella scena del teatro, con Brad Pitt ed Eli Roth che cercano di imitare il tzé-tzé di Bombolo (fonte Roth-Tarantino). E in Django Unchained si capirà quanto Tarantino debba a Sergio Corbucci, al quale ha dedicato una lunga e concitata lezione due anni fa a Venezia presentando Minnesota Clay. Ora, non so se sono il responsabile dell’involgarimento della commedia italiana. «Peggio di Berlusconi!», mi lanciò l’anatema la Tornabuoni. Ho solo cercato di ricucire una visione critica e storica dei nostri generi che erano stati poco considerati. Goffredo Fofi, su «Positif», scriveva che i nostri western targati Sergio Leone e soci erano «merda», Kezich e Tornabuoni lo hanno ribadito fino all’ultimo. Non parliamo poi di commedia. Ma se avevamo un immaginario così forte da poter durare fino a oggi, producendo un nuovo cinema internazionale, allora la cosa è diversa. E dimostra quanto poco anche oggi riescano i critici a intercettare novità e idee di cinema. E a capire film come I soliti idioti. Mario Monicelli e Dino Risi, i maestri della commedia dietro i quali si nascondono i Fofi e i Mereghetti, avevano il dente avvelenato con i critici. E non solo con i vecchi Lanocita e Micciché. «Mereghetti? C’è di meglio!», è la battuta che aveva coniato il vecchio Dino. E io che cercavo di fargli far pace con tutti…
Marco Giusti