Massimo Fini, il Fatto Quotidiano 6/5/2012, 6 maggio 2012
ELOGIO DEL CAZZOTTO “UNA TANTUM”
Perchè tutti (o quasi) noi maschi abbiamo tifato per Delio Rossi, l’allenatore della Fiorentina che, irriso e sbeffeggiato dal giocatore Adem Liajic, appena sostituito, gli si è gettato addosso colpendolo con tre o quattro cazzotti ben assestati. Perché, in questo mondo femmineo, abbiamo visto, finalmente, una reazione virile. Ci voleva del coraggio a 52 anni suonati, al limite dell’infarto, per battersi con un ragazzo di vent’anni, un atleta nel pieno della sua forza, per di più serbo, e suonargliele. Con quell’atto Rossi ha perso, forse, la sua autorità di allenatore, ma ha riguadagnato la sua dignità di uomo.
Naturalmente a livello ufficiale e istituzionale c’è stata l’esecrazione generale per Delio Rossi, così come era avvenuto quando un passante aveva mollato un cazzotto al quarantenne Daniele Capezzone, che invece di restituirglielo era andato a “chiagne” da mammà.
In Italia si può fare di tutto, farsi pagare la metà della casa, avere frequentazioni mafiose, grassare denaro pubblico, e rimanere all’onore del mondo, ma se uno, preso da comprensibile ira, sferra un cazzotto è irrimediabilmente out.
Il benessere, insieme a suo figlio il politically correct, ha compresso innaturalmente tutti i nostri istinti fra cui c’è anche l’aggressività. E un quantum di aggressività è invece necessario perchè fa parte della vitalità. Il nostro atteggiamento tremebondo di fronte agli immigrati deriva proprio da questo: che loro sono vitali, noi non più. Qualche tempo fa mi è capitato di assistere in corso Buenos Aires, una grande strada commerciale di Milano, a questa scena. Due giovani italiani, un ragazzo e una ragazza sui trent’anni, hanno incrociato un albanese che ha squadrato dalla testa ai piedi, con insistenza, la donna, in un modo oggettivamente offensivo. Il ragazzo si è permesso di dire qualcosa all’albanese che lo ha ripagato con un tremendo ceffone. E il ragazzo, tenendosi la guancia: “Ma no, parliamone...”. Parliamone? Doveva riempirlo di botte.
Questo verboten assoluto alla aggressività fisica ha poi un’altra, e più grave, conseguenza. A furia di essere scomunicata l’aggressività, come una molla troppo compressa finisce per esplodere, di colpo e d’improvviso, nelle forme più mostruose: l’automobilista che, armatosi di cacciavite, uccide per un sorpasso o la serie infinita dei feroci delitti delle “villette a schiera” come li definisce Guiso Ceronetti e di cui son piene le cronache. Tutto procede secondo la norma nelle “villetta a schiera”, non c’è polvere, non c’è calcare nelle lavatrici, lei prende “activia” per “aiutare la sua naturale regolarità”, ai bambini, dio guardi, non si può dare nemmeno uno scapaccione. Ma viene il momento in cui questo ordine diventa insopportabile e precipita nel più sanguinario disordine. Non si può e non si deve pretendere, come vuole l’astrattezza illuminista, di eliminare totalmente l’aggressività umana, oggi espulsa anche dal mondo del calcio che, nel suo significato più profondo, è una metafora della guerra (adesso la Tv spia anche il labiale per punire un giocatore che, preso un tremendo pestone, si è lasciato andare a una sacrosanta bestemmia). Come sapevano gli antichi l’aggressività non va eliminata, ma incanalata in modo da essere controllabile cosicchè non superi il livello di guardia. I neri africani, come ho raccontato nel Battibecco di ieri, ricorrevano alla festa orgiastica e alla guerra ritualizzata. Noi occidentali non possiamo più fare la guerra, né vera né finta (la deleghiamo alle macchine e ai robot), abbiamo perso la passione nazionale e quella delle ideologie, viviamo di numeri e fra i numeri, Iban, Cin, Pin, Cellulari, i-phone, i-pad, insomma nel mondo virtuale. Che ci resta? Un vecchio sano, caro cazzotto, una tantum, può essere uno sfogo salutare per evitare guai peggiori. Per me Delio Rossi è un’icona. Un Mito.