Giordano Tedoldi, Libero 6/5/2012, 6 maggio 2012
QUANDO BRITNEY SI CREDEVA UNA VEGGENTE
Le chiamano celebrities. Le stelle effimere del rock’n’roll, che muoiono per un’overdose o soffocate nel vomito, ma il rock rinasce come l’Araba fenice. E il loro Mercurio, il loro messaggero è alato è Neil Strauss, crapa pelata, scaltro come un faina, inviato del New York Times e di Rolling Stone. È loro amico, ci va a messa insieme, raccoglie le loro confessioni in lacrime, li aiuta a uscire dalla galera, poi spiattella tutto in un articolo e nei suoi libri, come questo «Tutti ti amano quando sei morto. Un viaggio tra fama e follia» (Arcana, 478 pagine, 22 euro) che contiene 228 resoconti di altrettante star, ciascuna, a suo modo, fulminata. Oddio, non sempre lo fanno scrivere come vuole, anche se è il numero uno. Al New York Times un redattore gli chiede: «C’è un motivo in particolare per cui hai scritto g-a-n-g-s-t-e-r?», e Strauss: «Sì, perché tutte le volte che scrivo «gangsta», poi lo cambiate in «gangster»». Redattore: «Be’, Al (Siegal, il caporedattore che stabilisce le norme ortografiche del «New York Times», ndr) ha dato l’ok per l’uso della parola «gangsta». Ha trovato un precedente in un articolo del 1924. Quindi adesso puoi usarla». Forse in quel momento Strauss ha compreso cos’è il rock’n’roll, altro che Led Zeppelin. I quali sono stati tra i primi incarichi del giovane Neil, appena assunto nel grande quotidiano di Times Square.
LED ZEPPELIN ED ELVIS
Eccoli lì nella loro stanza d’albergo, Robert Plant e Jimmy Page. «Plant accese un bastoncino di incenso White Light Pentacles mentre Page si sedeva sul divano accanto a lui. Entrambi sfoggiavano pantaloni di pelle e lunghe criniere ondeggianti». Hanno mai incontrato Elvis? Sì, a Los Angeles, tre ore insieme, risponde Plant pieno di sé: «Restammo lì più di chiunque altro nella storia. Voleva conoscere queste persone che vendevano più biglietti di lui e più in fretta di lui. Aveva incontrato Elton John e aveva creduto che tutti gli inglesi fossero come lui, così abbiamo evitato certe cose. Ci divertimmo, no?». «Era un tipo molto buffo» interviene Page, la spalla di un duo comico. E Plant: «E anche molto lucido. Scordatevi tutte le leggende e le altre stronzate. Ero proprio uno sveglio. Anche se non lo sopportavo nel periodo dopo il servizio militare. Mi sentivo come se ci avesse tradito, come quando i tuoi eroi invecchiano e non ti piacciono più perché non sono più di moda». Che poesia. E quando bussano alla porta, Plant fa il battutone: «Chi è alla porta? È la puttana cinquantenne che ho fatto chiamare?». Wow, che trasgressione, Stairway to Heaven sarà un classico, ma da intervistare due bolliti sono più piccanti degli Zeppelin. Magari qualche brivido ce lo darà il ministero della chiesa di Satana in America, Marilyn Manson. Strauss racconta di Twiggy Ramirez, il suo bassista: «Steso sul letto della sua stanza in un Holiday Inn in Florida, fissava il soffitto. Aveva le sopracciglia rasate e portava rossetto viola e ombretto rosa e blu. I suoi compagni di band dissero che era il suo modo di uscire da se stesso, visto che aveva sniffato troppa cocaina nel corso della serata». Si vanta di «aver ingannato i ragazzini americani a credere che io sia donna». Davvero? «Mia madre mi ha raccontato di aver detto che suo figlio suonava nei Marilyn Manson e che questa donna ha commentato: Ah sì, mio figlio è innamorato della ragazza, quella che suona il basso ». E mia madre: «Veramente è mio figlio». L’aspirante trans voleva anche assumere estrogeni, ma per sbaglio si è ingozzato di pillole anticoncezionali.
C’è anche un dinosauro in lotta con l’artrite, Jerry Lee Lewis, che acutamente Strauss definisce «non solo uno dei padri del rock’n’roll, ma forse il primo vero punk». Il primo scambio, complice anche l’incipiente sordità di Lewis, è da scolpire nella pietra. Domanda di Strauss: «Leggendo le sue interviste, sembrerebbe che lei parli del rock e della Cristianità come due entità opposte tra loro. La pensa davvero così?» Risposta di Jerry Lee Lewis: «Non capisco cosa vuoi dire». Strauss prova a chiarire la sua assurda domanda e Lewis: «Non voglio portare i ragazzi sulla cattiva strada. Cerco solo di sistemare le cose meglio che posso. Io credo che Dio mi mostrerà la strada quando sarà il momento giusto. Se non lo fa, allora sono un perdente. E non mi piace perdere». Dio è con me, oppure sono un fallito. Ecco da chi hanno preso i Blues Brothers il ritornello: «Siamo in missione per conto di Dio».
Con Britney Spears l’intervista non prende quota, allora Strauss pensa di spostarla su una passione della cantante, le facoltà paranormali. «Le dico che scriverò un numero tra uno e dieci e che lei dovrà usare le sue facoltà psichiche per indovinare che numero è. Scrivo su un pezzo di carta 7, che è il numero statisticamente più tentato in questo gioco, e le passo il bigliettino coperto».
ALTROCHÈ I NIRVANA
Britney indovina e la sua gioia è incontenibile:«Come ho fatto? (Salta giù dal divanetto, corre verso lo specchio dell’hotel e si guarda.) Wow, ci sono riuscita! (Torna al divanetto, ancora eccitata.) Lo sapevo che era sette! O mio dio, non riesco a crederci che ci sono riuscita. È proprio strano». Strauss la prende impietosamente per il culo: «Vedi, il punto è che tu già sai le risposte dentro di te. Solo che la società ti educa a pensare troppo». Britney: «Fica quest’intervista! Mi piace quest’intervista! Dev’essere la migliore intervista della mia vita. Fico! (Si sventaglia per calmarsi.) Possiamo spegnere il registratore?». E gli parla del libro che sta scrivendo, ispirato ai nove libri della serie «Conversazioni con Dio» del ciarlatano Neale D. Walsch. Santa Britney. Per fortuna che c’è l’irredimibile peccatrice, Courtney Love, vedova Cobain. Mentre la intervista per Rolling Stone, Courtney si sente al telefono con sua figlia Frances Bean, ecco il brogliaccio, dalla vive voce di Courtney: «Ero in prigione, lo sai, vero? Un tizio si è fatto male a un concerto. Succede di continuo ai concerti. Dice che si è fatto male con l’asta del microfono...Sì, anche se il concerto è andato bene. Mi è andata via la voce, quindi poteva anche andare meglio. Ma la polizia mi cercava... Ce ne andiamo di corsa dalla California. Ecco cosa faremo... Mi hanno messo in cella. Avevo così paura... Stai alla larga dai tabloid. Scrivono delle cose terribili. Ho letto articoli che dicevano che stavo per morire... A scuola ti hanno detto qualcosa? No? Non è che ti parlano dietro o ti trasmettono negatività? No? Bene, bene». Grande Courtney, la ricorderemo sempre in quell’intervista in cui diede la ricetta per superare la depressione devastante come quella di cui soffriva il marito e leader dei Nirvana: «Endure the moment», resisti al momento. E magari, stai lontano dai fucili.
Giordano Tedoldi