Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Non ci sono notizie sull’Alitalia, e questa è, da sola, una notizia molto importante.
• Che significa?C’è un offerta, non ancora formalizzata, della compagnia aerea degli Emirati Arabi, Etihad, la quale si dice pronta a comprare un 40-49 per cento della nostra compagnia di bandiera mettendo 350-500 milioni di euro freschi. A questa offerta - ripeto: non ancora formalizzata - il vertice di Alitalia non ha risposto niente. Martedì s’è riunito il consiglio d’amministrazione, e il consulente Sergio Erede ha illustrato con abbondanza di dettagli il punto di vista arabo, peraltro già ben descritto in una lettera che il vertice aveva ricevuto mercoledì 16 aprile. Il consiglio d’amministrazione s’è concluso senza comunicati ufficiali e - questo è il bello - senza indiscrezioni agli amici giornalisti. I quali, ieri mattina, hanno pubblicato articoli assai incerti e preoccupati. Quindi il silenzio di Alitalia, ancora ieri, era una notizia notevole. Quel silenzio significava infatti, e possiamo farci serenamente il titolo: non sappiamo che pesci prendere.
• Suppongo che le offerte degli arabi non siano così allettanti.
Le conosciamo, e le elenchiamo facilmente. Prima di tutto Etihad pretende che dall’organico della compagnia siano tagliati tremila-tremilacento dipendenti. Essi hanno già spiegato che non vogliono essere autorizzati al massacro: il massacro deve essere messo in atto prima del loro arrivo. Si tratta cioè di una condizione preliminare, se la devono vedere i vertici dell’attuale compagnia e i sindacati e/o il governo. Questa pretesa ha senso? Purtroppo sì. Alitalia è adesso alle prese con una cassa integrazione a rotazione che riguarda, appunto, tremila impiegati. Benché dimagrita dalla procedura messa in atto nel 2008, la compagnia resta grassa di 14 mila dipendenti. Non si è ancora smaltita la sbornia del sottogoverno che ne ha determinato il profilo nell’ultimo quarto di secolo. Quindi, prima condizione: tremila fuori.
• Seconda condizione?
La compagnia ha un debito di un miliardo, specialmente verso le banche, che sono anche azioniste. Gli arabi chiedono che quattrocento milioni di questo debito siano trasformati in azioni. Cioè, non intendono accollarsi per intero l’esposizione. È probabilmente questo il punto di maggior resistenza. Oggi Intesa San Paolo è il primo azionista, col 20,59%. E Unicredit è terzo col 13%. Le banche hanno problemi di liquidità: stanno arrivando i controlli europei sulla solidità patrimoniale degli istituti, fatto che costringerà, o ha già costretto, gli azionisti a tirar fuori soldi, il governo ha raddoppiato le tasse sulle quote Bankitalia (rasatura da un miliardo), tutte le aziende in crisi - a cominciare dal colosso Sorgenia - chiedono che gli istituti rinuncino in tutto o in parte ai loro crediti per diventare soci. Questa richiesta degli Emirati è stata accolta con grande freddezza, lo sappiamo.
• Quali sono le altre pretese?
Gli arabi non vogliono avere niente a che fare con i contenziosi in cui è impigliata Alitalia: se la vedano gli azionisti attuali. Un’altra richiesta, fresca fresca, è di prendersi il 20 per cento degli Aeroporti di Roma, che appartengono ai Benetton. I Benetton sarebbero interessati, se non altro per la potenza di fuoco dell’eventuale partner (lo sceicco Mohammed bin Zayed al Nahyan galleggia su un patrimonio da 150 miliardi di dollari), e però è provato che gli arabi, proprio per la loro potenza di fuoco, una volta entrati in un qualunque gruppo la fanno da padroni e comandano. L’idea di una quota dell’aeroporto romano è coerente con la loro idea di fare di Fiumicino l’hub principale, perno per le rotte verso le Americhe e, in qua, degli americani verso il Medio e l’Estremo Oriente. Gli piace molto Linate, sono per lo smantellamento di Malpensa.
• Gli altri, su questi progetti faraonici, non hanno niente da dire?
Lufthansa ha cercato di mettere i bastoni tra le ruote rivolgendosi, inutilmente, a Bruxelles. Air France non ha partecipato all’ultimo aumento di capitale, sta oggi al 7%, vigila, ma non ha la forza finanziaria per dire alcunché. D’altra parte, per rilanciare la compagnia, ci vuole un grande progetto planetario, con la rotta Roma-Milano non si guadagna ormai più niente. Gli arabi sono molto forti, in questa trattativa: non esiste un piano B, se quelli di Etihad (che intanto, come elemento di pressione, hanno fatto sapere di aver acquisito una quota di una piccola compagnia spagnola) dovessero ritirarsi, per Alitalia non resterebbe che la strada del fallimento. Sgradevole anche per le banche, però: perderebbero, in quel caso, il 60-70 per cento del loro credito. Forse gli conviene ingoiare il rospo e aumentare la loro presenza nell’azionariato.
(leggi)