Donato Masciandaro, Il Sole 24 Ore 24/4/2014, 24 aprile 2014
LE COLPE DELLA FED
L’euro troppo forte è un ostacolo alla ripresa? Sul banco degli imputati devono andarci la Bce di Mario Draghi e i governi nazionali troppo virtuosi, secondo una visione che piace sempre più a tanti, americani ma anche europei. È una storia credibile? No, assomiglia di più al giuoco delle tre carte: attiro l’attenzione sull’euro di oggi, per nascondere il fatto che gli squilibri monetari internazionali nascono dalla sistematica violazione delle buone regole di politica monetaria che la banca centrale americana (Fed) ha iniziato prima della Grande Crisi, e poi ha proseguito ed accentuato fino ad oggi. Negli ultimi tempi la volatilità dei movimenti dei capitali si è fortemente accentuata, intrecciandosi con le oscillazioni nei prezzi delle valute. La nostra moneta continua ad essere molto apprezzata sui mercati internazionali. Se si ritiene che tali fenomeni siano fonte di preoccupazione, occorre interrogarsi sulle cause. Per far questo è necessario ricordare quale era la situazione vigente prima della Grande Crisi, cioè nel periodo della Grande Moderazione. Durante la Grande Moderazione il coordinamento internazionale delle politiche monetarie nasceva come risultato spontaneo del fatto che ciascuno dei Paesi avanzati seguiva una buona regola nazionale di politica monetaria. L’obiettivo delle banche centrali era quello di stabilizzare il ciclo economico, tenendo conto che una crescita economica ed un inflazione entrambe al due per cento definissero un sentiero di crescita nel contempo realizzabile ed auspicabile. La regola del due rappresentava la bussola da seguire di fronte ad oscillazioni della domanda e dell’offerta aggregata; gli shock che creavano surriscaldamenti nei prezzi e/o nei volumi andavano fronteggiati con politiche monetarie restrittive di innalzamento della struttura dei tassi di interessi; nei casi opposti di perdurante disinflazione e/o di caduta della produzione, la politica monetaria doveva divenire più accomodante, facendo scendere il profilo dei tassi. Fino al 2002 la regola del due fu sostanzialmente rispettata sia negli Stati Uniti che in Europa da parte rispettivamente della Fed e della Bce. In quel periodo il tasso di cambio tra l’euro e il dollaro parte dall’1.17 della nascita della nostra moneta nel 1999 e scende sotto la parità nel 2002; l’euro si deprezza. Poi però iniziarono gli anni della Grande Deviazione: la Fed di Alan Greenspan iniziò una politica monetaria ultra espansiva, in particolare fino al 2005. Anche la Bce di Trichet attuò una politica accomodante: la politica monetaria rimase più espansiva di quella che sarebbe stata coerente con la regola del due; ma tale scelta non provocava effetti negativi sul livello dei prezzi, visto che la dinamica effettiva rimaneva sostanzialmente coerente con un percorso di crescita stabile del tasso di inflazione. Ma soprattutto l’espansione attuata dalla Fed era molto più aggressiva: gli scostamenti dalla regola del due erano molto più marcati e persistenti di quelli osservabili nelle scelte della Bce. In quel periodo l’eccesso di espansione monetaria provoca una sistematico deprezzamento del dollaro; il tasso di cambio dell’euro arriva nel 2005 all’1.28. L’euro forte era il riflesso dell’eccesso espansivo della politica monetaria americana. Con una pausa, l’eccesso di espansione monetaria continuerà in realtà fino al 2008, così come l’apprezzamento dell’euro, che nello stesso anno sfiora quota 1.6 sul dollaro. Con lo scoppiare della Grande Crisi, tutte le politiche monetarie di qua e ad li là dell’Atlantico sono diventate ultra espansive, al fine di evitare che la straordinaria domanda di liquidità provocata dall’aumento della avversione al rischio di tutti gli operatori non trovasse una corrispondente offerta, con effetti difficilmente calcolabili in termini di rischio sistemico, ed a catena di costi prima finanziari e poi economici. In un tale scenario, occorreva ritornare ad un coordinamento internazionale esplicito delle politiche monetarie nazionali, prima per gestire l’emergenza, poi per tornare alla normalità. Non è stato fatto. Nondimeno, lo schiacciamento a zero dei tassi di interessi americani per un periodo che non è ancora terminato e che difficilmente terminerà prima del 2016 rende l’anomalia della politica monetaria della Fed non solo persistente, ma anche difficilmente prevedibile. A partire dal 2013 la politica monetaria americana ha aumentato la sua ambiguità: il ritorno alla normalità è stato prima legato ad obiettivi macroeconomici, poi, con l’arrivo della Yellen, sganciato da questi, contribuendo a rafforzare la tesi che quello che conta non sono tanto i traguardi economici della ripresa, ma l’appuntamento elettorale delle Presidenziali. L’assenza di regole nella politica monetaria del Paese leader continua a provocare volatilità nei movimenti dei capitali e nei prezzi delle valute; tra esse, il cambio dell’euro viaggia intorno agli 1.40. Certo, se vogliamo giocare alle tre carte, possiamo raccontarci la favoletta degli effetti indesiderati sul cambio dell’euro di avere governi che provano ad essere disciplinati ed una banca centrale europea che persegue il suo mandato.
Donato Masciandaro, Il Sole 24 Ore 24/4/2014