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 2014  aprile 24 Giovedì calendario

I SANTI PADRI


CITTÀ DEL VATICANO
Oltre a Giovanni Paolo II, Giovanni XXIII. Insieme al Papa missionario e carismatico, interprete di una Chiesa battagliera e d’avanguardia in un mondo sospeso fra grandi ideologie e incipiente secolarizzazione, domenica salirà agli onori degli altari anche il Papa del Concilio, della semplicità, della misericordia e di una fede che, dopo anni di arroccamenti sulla difensiva, deve tornare ad attrarre dal basso, nella consapevolezza che “il Regno dei cieli appartiene ai puri di cuore, agli umili, ai poveri di spirito”.
La canonizzazione di Karol Wojtyla era di fatto decisa da tempo, acclamata non senza pressioni da parti dei più importanti movimenti ecclesiali fin dal 2 aprile 2005, il giorno della sua morte. “Santo subito”, recitavano gli striscioni apparsi in piazza San Pietro durante la celebrazione dei funerali. E santo sarà, Giovanni Paolo II, per decisione ratificata da papa Francesco al termine di un iter aperto da Benedetto XVI che concesse una dispensa per non dover attendere i cinque anni previsti dopo la morte. Ma non sarà santo da solo. Con lui, grazie alla disposizione comunicata ufficialmente da Jorge Mario Bergoglio il 30 settembre scorso, viene canonizzato anche Angelo Giuseppe Roncalli, iscritto fra i santi pro gratia, per grazia, con una procedura eccezionale — seppure in passato già percorsa — perché in mancanza del secondo miracolo richiesto per la canonizzazione stessa.
L’annuncio di Roncalli è arrivato a sorpresa. E dice molto a proposito di quale modello Francesco auspica che la Chiesa segua. Dunque non solo il trascinatore di folle che, in un mondo di conflitti planetari che chiedevano liberazioni spirituali, sociali e politiche, combatteva per trovare alla Chiesa un suo spazio d’incidenza, ma anche il Pontefice più vicino a un’altra sensibilità, quel pastore che diceva di volere una Chiesa «madre di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia, anche verso i figli da lei separati» e che spiegava: «La gran medicina dev’essere la misericordia».
Se ne facciano una ragione, sembra voler dire ora Bergoglio, tutti quei “profeti di sventura” per i quali il rinnovamento che è stato il Concilio porterebbe la barca di Pietro al naufragio. «È ancora oggi il tempo di seguire il vento dello Spirito che spinge la Chiesa semper reformanda a camminare sulle strade del Vangelo», scrive non a caso nel libro Giovanni XX-III, in una carezza la rivoluzione ( Rizzoli) Stefania Falasca che sulla base della positio super canonizatione si concentra con puntualità sulle ragioni e le opportunità pastorali che hanno portato Bergoglio a proclamare nella temperie ecclesiale di oggi la piena santità di Roncalli e a riconoscere in lui «un faro luminoso per il cammino che ci attende».
Le canonizzazioni di coppia: momenti unici che dicono più cose. Prima di Wojtyla-Roncalli, vi fu una doppia beatificazione, anch’essa significativa. Era il 2000. Fu proprio Giovanni XXIII a venire “associato” a un altro Pontefice, l’ultimo Papa Re, quel Pio IX che, almeno sulla carta, era considerato agli antipodi dello stesso Roncalli. Wojtyla volle beatificarli insieme, anch’egli probabilmente per richiamare fazioni diverse, i nostalgici del potere temporale della Chiesa e i conciliari, all’unità. E per dire che “di tutti la Chiesa ha bisogno”, e che nella sua storia non ci sono vincitori né vinti. Spiega Alberto Melloni in Le cinque perle di Giovanni Paolo I-I( Mondadori): «Nell’anno del Giubileo, contro il parere di dotti come padre Giacomo Martina, Wojtyla beatifica Pio IX (col quale non aveva particolari ragioni di vicinanza) per bilanciare la beatificazione di papa Roncalli nella cui vecchiaia e nel cui Concilio vuole rispecchiarsi».
La decisione di Wojtyla non fu facile. Anche allora, come del resto oggi, gli “anti-conciliari” erano una forza attiva nella Chiesa e piuttosto che mettere in pratica il rinnovamento chiesto dal Concilio parlavano di come guardarsi dalle scorrette interpretazioni di esso. Fu lo stesso Giovanni Paolo II a rendersi conto che troppo poco faceva per contrastare queste forze. Lo ha detto recentemente un wojtyliano d’eccezione, il cardinale Camillo Ruini, alla presentazione di Una vita con Karol (Rizzoli), libro che raccoglie le memorie scritte da Stanislaw Dziwisz con Gianfranco Svidercoschi: il Papa polacco, ha spiegato Ruini, aveva il desiderio di innovare il governo della Chiesa, coinvolgendo di più i vescovi; ma non andò fino in fondo. Realizzò un inizio di collegialità, ma forse riteneva che l’episcopato non fosse ancora maturo. «Wojtyla — dice Svidercoschi — voleva una Chiesa collegiale. Tanto che, aprendo il Giubileo, chiese espressamente ai vescovi riuniti a Roma di lavorare in quel senso. «È stato fatto?», domandò poi. Per poi ripondersi da solo: «No!»».
Francesco in merito ha parlato poco, ma ha agito. Per lui l’episcopato deve cambiare e cambierà. La canonizzazione di Roncalli è un chiaro segno della direzione che la Chiesa deve finalmente prendere. Ricorda ancora Melloni: «Bergoglio canonizzando Roncalli insieme a Wojtyla dice che bisogna ripartire da papa Giovanni e dalla sua intenzione per cui il Concilio sta a monte del Concilio stesso». Insomma, «piuttosto che parlare del Concilio, il Concilio è meglio farlo», ha detto lo stesso Bergoglio. E allora largo a Roncalli, a una canonizzazione arrivata pro grazia dopo un processo canonico durato 35 anni e senza che ciò rappresenti una scorciatoia, né una semplificazione e nemmeno una decisione arbitraria. «I motivi espressi a favore dell’opportunità e che hanno determinato la canonizzazione di Roncalli — spiega, infatti, ancora Falasca — si misurano in alcuni aspetti che appaiono di essenziale importanza nel cammino presente e prossimo della vita della Chiesa: l’attuazione del Concilio, la ricerca della pace, il rinnovamento e la missionarietà della Chiesa, l’impegno per il dialogo ecumenico e interreligioso. Tutti aspetti nei quali si riflettono e si focalizzano le linee portanti del magistero di papa Bergoglio». Già durante la stagione conciliare, del resto, alcuni dei più autorevoli rappresentanti delle Chiese cristiane ortodosse volevano addirittura proclamare Giovanni XXIII come santo «patrono» del cammino ecumenico.
Bergoglio non sembra avere dubbi: il vento dello Spirito che spinse il Concilio a rinnovare la Chiesa “deve ancora soffiare”. Egli non partecipò al Concilio. E volutamente non prese parte al conflitto delle interpretazioni sorto dopo. «Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità», disse in merito nell’intervista del 19 settembre scorso pubblicata da Civiltà Cattolica. «Tuttavia una cosa è chiara: il Vaticano II è stato un servizio al popolo consistente in una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea ». Come a dire: al di là delle interpretazioni e di chi vorrebbe depotenziarlo, il Concilio aperto da Giovanni XXIII è ancora oggi valido e utile.

Paolo Rodari, la Repubblica 24/4/2014