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 2014  aprile 24 Giovedì calendario

PARTITO DA UNA CANTINA IL GRUPPO SOGNAVA UN BUSINESS MONDIALE

PARTITO DA UNA CANTINA IL GRUPPO SOGNAVA UN BUSINESS MONDIALE –

Bisogna ammetterlo, non eravamo arrivati fino a questo punto. Fino a vedere Davide Vannoni nelle vesti di un ricercatore dell’Università di Brescia, presentarsi come collaboratore del professor Porta degli Spedali Civili. Eccolo: entra in un cardio centro di Lugano.
Spiega chi è, chiede la disponibilità di una «clining room» per le infusioni di staminali, inganna i suoi interlocutori e ottiene il via libera. Non conoscevamo questa doppia identità. Come non conoscevamo l’hostess pagata per fare l’infermiera. L’amico farmacista che si spacciava per dottore. E tutti insieme, protagonisti e comparse, battevano consolati e ambasciate di Capo Verde, per illustrare il grande progetto per portare Stamina alla clinica Murdeira sull’isola di Sal. Sembra quasi una fuga, adesso. Il tentativo di perpetuare se stessi al di fuori dai confini italiani, mentre la situazione precipitava.
Sono gli ultimi sviluppi dell’inchiesta dei Nas dei carabinieri, coordinati dal procuratore Raffaele Guariniello. Sei anni di lavoro difficilissimo. Controcorrente. Fatto su fatto. Vittima dopo vittima. Risalendo campagne mediatiche orchestrate ad arte, in cui il dolore dei pazienti è stato usato come mezzo di persuasione. Nel provvedimento di chiusura indagini è citata un’intervista di Vannoni «che ha diffuso uno stato di allarme nella popolazione». Questa: «Senza le mie cure possono morire fino a 18 mila persone». Terrore. Pazienti «usati come cavie». Bambini malati mostrati su Facebook per commuovere un po’ di più. Fino a 48 mila euro per singolo trattamento.
Adesso è tutto scritto su carta intestata alla «Procura della Repubblica». Quello che «La Stampa» aveva documentato con interviste, reportage e commenti dei più importanti scienziati. Non c’era nessun metodo. Non era una cura. Neppure loro sapevano cosa stessero somministrando. Abbiamo usato per anni parole sbagliate. Erano «falsi documenti», «autocertificazioni mendaci». Erano «ricorsi ai Tribunali del Lavoro in spregio agli autorevoli pareri del Consiglio Superiore di Sanità e al divieto imposto dall’Aifa». Il metodo Stamina non era neppure un’invenzione, ma copiato da Wikipedia. Prometteva guarigioni, ma era una storia di soldi.
Ecco il professore di psicologia Davide Vannoni, nelle parole dagli investigatori: «A suo dire neuroscienziato, ma di fatto animato dall’intento di ricavare guadagni grazie a pazienti con malattie degenerative senza speranza». È lui «il capo». Lui «il promotore e l’organizzatore dell’associazione a delinquere finalizzata alla truffa». Ci sono 111 vittime accertate. Pazienti a cui era stato promesso un miracolo impossibile. Non guarivano. Non erano vere neppure le prescrizioni di quindici medici che Vannoni citava sempre a suffragio del suo metodo. Interrogati, tutti e quindici hanno preso le distanze. Non avevano mai fatto esami strumentali. Non avevano potuto constatare nessun miglioramento. E dunque: l’inesistente metodo Stamina non aveva neppure il pregio di essere innocuo. «Risultano anzi essersi verificati eventi avversi in un numero significativo di pazienti trattati», scrive il procuratore Guariniello.
Condizioni igieniche inadeguate, in sedi non controllate. Conoscevamo lo scantinato buio di via Giolitti a Torino, il centro Benessere Exclusive Me di San Marino. Una scrivania come lettino. Un addetto alle pulizie come infermiere. L’iniezione con il cuscino dietro la schiena. Con il professor Vannoni che maneggia provette, indica il punto esatto dove puntare l’ago, visita i pazienti, entra in sala operatoria con abiti sbagliati. Con la biologa Erika Molino, mai iscritta all’albo dei Biologi, che si allontana prima di un’infusione dicendo: «Vado a mettere l’ingrediente segreto». Con il vicepresidente Andolina che «pratica personalmente un’iniezione intratecale endovenosa e poi conserva un campione biologico di un malato». Per passare, nel corso degli anni, dalla fase clandestina a quella istituzionale. Eppure....
Anche all’Istituto Burlo e Garofalo di Trieste tutto è successo fuori dal controllo. Anche a Brescia. Dove Stamina riesce ad entrare perchè tre diversi medici, fra cui il direttore sanitario Ermanna Derelli, intendono sottoporre tre loro parenti al trattamento, facendolo pagare al Servizio Sanitario Nazionale. Un cortocircuito tale, che a un certo punto Vannoni arriva a scrivere di suo pugno una nota firmata dal direttore generale dell’ospedale. Per sbloccare il trattamento «di persone in imminente pericolo di vita». Ma anche qui, come sempre, il metodo non è metodo, la cura non è cura. Tutto viene fatto in condizioni «di inadeguatezza», «con procedure non conformi», «con carenza di controlli», «senza fornire protocolli», «senza procedura per la tracciabilità delle cellule», «imponendo al personale di Stamima di mantenere segrete le procedure».
Di tutto questo, Davide Vannoni e l’amico Gianfranco Merizzi, presidente dell’azienda parafarmaceutica Medestea, volevano farne un business planetario. «Creando rapporti organizzati e finalizzati alla commercializzazione nazionale e mondiale della cosiddetta terapia Stamina», scrivono gli investigatori.
Società in Svizzera. Diritti esclusivi. E soldi, soldi, soldi. Come scrive lo stesso Merizzi nella nota integrativa al bilancio della sua società: «Le potenziali forti sinergie prospettatesi fra Vannoni e Medestea hanno permesso di disegnare un progetto di portata internazionale che sarà controllato dalla nostra società. L’anno 2013 è previsto come anno di investimenti, mentre per il 2014 si prevedono i primi importanti introiti. Sono in corso contatti avanzati con Messico, Hong Kong, Svizzera». Non proprio un progetto «compassionevole».

Niccolò Zancan, La Stampa 24/4/2014