Federico Rampini, la Repubblica 24/4/2014, 24 aprile 2014
DALLA CINA ALL’IRAN PERCHÉ INTERNET È IL GRANDE NEMICO
NEW YORK
Vladimir Putin e gli altri. Da Erdogan a Xi Jinping, dal regime iraniano a quello egiziano. Tutti uniti: dalla paura della Rete. Leader diversi, sistemi politici differenziati, ma impegnati a cercare di “rimettere il genio nella bottiglia”, a erigere nuovi Muri di Berlino, con garitte, fili spinati, posti di blocco, la minaccia di fucilazione non solo virtuale. Erdogan ha combattuto contro i “ribelli via Twitter” e in fin dei conti ha vinto, per ora: nonostante l’indignazione della società civile più evoluta, la maggioranza degli elettori turchi lo ha premiato. Prima di lui i dirigenti cinesi avevano vinto il lungo braccio di ferro con Google, costringendo il gigante californiano a offrire un motore di ricerca “auto-censurato” in mandarino. E poiché la maggior parte dei cinesi usa comunque dei siti e social network autoctoni, la Grande Muraglia di Fuoco (come la chiamano i dissidenti) configura una sorta di gigantesco Intra-net, cioè una di quelle Reti non del tutto aperte, che servono a comunicare solo per chi sta al suo interno.
È il modello di alcuni sistemi aziendali “securizzati”, quello che dopo la Cina vogliono costruirsi l’Iran, l’Egitto. Putin è stato un precursore, la sua “cultura Kgb” lo ha reso ipersensibile alle sfide tecnologiche. L’ultima stretta decisa da Mosca colpisce Gmail, Skype e altri servizi di posta elettronica e messaggeria: rischiano di essere bloccati dalle autorità russe, se rifiutano di conservare i dati dei loro utenti in server all’interno del territorio della Federazione. Il nuovo “pacchetto di leggi anti-terrorismo” equipara i blogger con almeno 3.000 utenti giornalieri ai mass media, inserendoli in un registro speciale. Tra le vittime il più illustre è Pavel Durov, creatore del social network russo Vkontakte, obbligato a lasciare il sito con questo addio desolante: «La Russia è incompatibile con Internet».
La Rete e i social network sono il nuovo campo di battaglia mondiale, dove si oppongono le pulsioni autoritarie e le istanze di libertà che vengono dalla società civile. Controllare Twitter o Facebook diventa importante quanto la censura su stampa e tv. I social network in quanto interattivi, non gerarchici, consentono di per sé una partecipazione diffusa che mette in allarme gli autocrati. C’è poi un aspetto generazionale e culturale: le nomenclature dei regimi autoritari non sono cresciute su Facebook; come tutto ciò che i potenti non comprendono e non padroneggiano perfettamente, i social network insospettiscono ancora di più.
La guerra dei potenti contro la Rete è complicata da interferenze geostrategiche. Qui entra in campo l’America di Obama. Da una parte sostiene la diffusione “liberatrice” dei social network, fino al punto di finanziare micro- reti apposite per i dissidenti nel mondo arabo (i mesh network, a raggio ridotto e più resilienti nei confronti della censura e del controllo autoritario). D’altra parte con il Datagate gli Stati Uniti hanno rivelato un livello d’intrusione senza precedenti nella Rete. Hanno fornito un poderoso arsenale di giustificazioni — sicurezza, sovranità, nazionalismo — a tutti gli autocrati. È quello che spiega Laura DeNardis, autrice di The Global War for Internet Governance . In un confronto tra esperti alla School of International Public Affairs, di fronte ai membri delle Amministrazioni Bush e Obama che hanno seguito i negoziati internazionali su questi temi, la De-Nardis sostiene che «Internet è il nuovo terreno di un conflitto mondiale per decidere chi controlla l’accesso a risorse strategiche, in primis l’informazione ».
Dalla sua nascita Internet non è una “prateria selvaggia” bensì uno spazio regolato da organismi tecnici, gruppi privati, anche governi. Ma con un’impronta dominante degli Usa. Dopo le rivelazioni di Snowden sull’ampiezza delle attività di spionaggio della Nsa, il consenso internazionale sulla governance di Internet si è indebolito. Anche paesi democratici come la Germania e il Brasile hanno sollevato questioni di sovranità. Per i regimi autoritari, la sua denuncia è stata provvidenziale. Già adesso secondo Eli Noam della School of International Public Affairs, «è anacronistico parlare di Internet al singolare, mentre siamo di fronte all’emergere di Reti al plurale, una balcanizzazione deplorevole, ma forse inarrestabile».
Federico Rampini, la Repubblica 24/4/2014