Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Anche Renzi si allinea allo stile di governo dei suoi predecessori e si svincola da un’impasse politica non da poco, mettendo la fiducia su un decreto legge.
• Di che stiamo parlando?
Del decreto legge sul lavoro, quello che costituisce il primo capitolo del cosiddetto Jobs Act. Questo testo disciplina i contratti di apprendistato e i contratti a termine, e nella sua prima fomulazione lasciava molta libertà ai datori di lavoro, libertà, voglio dire, di prendere apprendisti senza dar spiegazioni e di procedere ad assunzioni a tempo determinato fino a 36 mesi (invece di 24) e con possibilità di rinnovare il contratto fino a otto volte prima di prendere una decisione sulla stabilizzazione definitiva. Senonché, passato alla Commissione Lavoro della Camera, il testo ha subìto il lavoro al corpo del presidente Cesare Damiano, sinistra Pd e già ministro del Lavoro, e degli altri commissari (compresi i renziani). Ne è uscito fuori un testo molto meno liberale di prima, i rinnovi possibili nell’arco dei 36 mesi sono stati ridotti a cinque, altri vincoli rendono la possibilità di assumere a tempo determinato o con contratti d’apprendistato molto più aleatoria e meno conveniente per le imprese. È successo così che al Nuovo Centro-Destra, e anche a Scelta civica, la cosa non sia affatto piaciuta. Quando Renzi ha capito che, seguendo l’iter normale, il cammino di questo primo pezzo di Jobs Act sarebbe stato assai tormentato, ha deciso di tagliare la testa al toro e mettere la fiducia, esattamente come hanno fatto prima di lui, in circostanze analoghe, Letta, Monti, Berlusconi e Prodi. Si vota oggi la fiducia e domani l’approvazione del decreto. Gli alfaniani hanno detto che voteranno "sì", ma che al Senato lavoreranno per ripristinate la prima versione del testo. Ho l’impressione che Renzi si adopererà per arrivare al redde rationem di Palazzo Madama dopo le Europee del 25 maggio.
• Vediamo così, in questo passaggio, due problemi in una volta: quello della funzione del Parlamento, chiamato quando è inquieto a prendere o lasciare ciò che il governo ha deciso. E quello del lavoro, problema gravissimo e che sembra attorcigliato in una crisi non momentanea, ma strutturale.
Sul primo punto io sto dalla parte di Ceronetti, che chiede, sic et simpliciter, che il Senato sia abolito e basta, e si proceda con una sola Camera. Però tutto l’iter di approvazione delle leggi andrebbe rivisto e snellito. I parlamentari, quando faccio queste osservazioni, rispondono: ma se il Parlamento vuole, anche da noi le leggi possono essere approvate in un battibalento. E certe volte lo abbiamo anche visto. Il fatto è che il Parlamento non vuole quasi mai, o meglio: il Parlamento è così frammentato che c’è sempre un numero sufficiente di deputati o di senatori che è in grado di render difficile la vita al governo, a qualunque governo. E qui entrerebbe in campo il terzo corno delle riforme istituzionali, quello della legge elettorale. Da concepire, si direbbe, non tanto con la preoccupazione della rappresentatività più ampia (legge proporzionale), premessa alle lungaggini, ma della massima efficienza. Cioè: iter veloci, responsabilità chiare di chi fa le scelte e possibilità per l’elettore di giudicare con sicurezza al momento del voto il fatto e il non fatto.
• Un sogno, allo stato delle cose.
E sia sulla riforma elettorale che sul depotenziamento del Senato a Palazzo Madama s’annunciano battaglie. Berlusconi dice che voteremo di sicuro entro 15 mesi. Credo che abbia ragione.
• E sul lavoro? Il Jobs Act potrebbe rilanciare il lavoro?
Aspettiamo con curiosità soprattutto i provvedimenti successivi a questo primo su contratti a termine e contratti d’apprendistato. Per intanto teniamoci i dati negativi che ci riguardano: tra il 2008 e oggi la disoccupazione da noi è raddoppiata, siamo a questo punto a 3,8 milioni di disoccupati. E nel numero non entrano quelli in cassa integrazione. Un dato ancora più preoccupante è questo: mentre negli altri paesi in crisi - Portogallo, Spagna, Irlanda, Slovenia, Cipro, Grecia - i dati di febbraio mostrano finalmente che la disoccupazione ha cominciato a scendere, da noi gli stessi dati mostrano che continua a salire.
• Come mai?
La rigidità del nostro sistema, e non sto parlando solo dell’articolo 18: noi pretendiamo che qualunque discussione sul lavoro, contratti compresi, abbia luogo a livello centrale, come mostra anche questo Jobs Act. La flessibilità degli altri - Grecia: - 43 mila disoccupati, Portogallo -100 mila, Irlanda -35mila, Spagna -300 mila, Slovenia -8000 - ha permesso, per esempio in Spagna, investimenti di Renault, Bayer, General Motors, gruppi messicani, giapponesi, venezuelani, di Hong Kong. Da noi, alla proposta in Ducati (Bologna) di lavorare di più in cambio di nuove assunzioni e premi di risultato più alti, il sindacato Fiom ha risposto no, appellandosi alla protezione del cardinale Caffarra. Non basterà certo un Jobs Act, o magari due, a farci cambiare testa.
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