Pierangelo Molinaro, La Gazzetta dello Sport 23/4/2014, 23 aprile 2014
I PORTINAI DEL CIELO DICHIARANO LO SCIOPERO
Ci sono voluti 13 morti per risvegliare la coscienza del popolo che ha le chiavi del cielo. Un popolo che dal 1953, quando Tensing Norgay accompagnò Edmund Hillary alla conquista dell’Everest, conta migliaia di morti, vinti dal freddo e dalla fatica o travolti dalle valanghe. Ma ora gli Sherpa hanno detto basta dopo la tragedia che venerdì è costata la vita a 13 dei loro compagni, travolti da una enorme valanga mentre attrezzavano la Icefall, la saraccata fra il campo base e il campo 1 sul percorso che conduce alla vetta della più alta montagna del mondo. Oltre un centinaio di loro si sono riuniti al campo base e, dopo aver celebrato i compagni scomparsi, hanno proclamato uno sciopero che potrebbe vanificare l’intera stagione delle ascensioni himalayane. E il tempo stringe perché maggio è alle porte ed è considerato il periodo migliore per le ascensioni agli ottomila prima dell’arrivo del monsone estivo che fra giugno e settembre scarica acqua e neve sulla regione. Al momento nel territorio nepalese sono già presenti oltre 400 alpinisti di 39 diverse spedizioni pronti a lanciare l’attacco alle vette.
Ognuno di loro paga fra visto e sherpa, per arrampicare in questo territorio, una cifra che può arrivare anche a 90.000 euro e, solo per il visto, il governo di Katmandu incassa annualmente oltre 4 milioni di euro. Solo una minima parte di questa massa di denaro va agli sherpa, una popolazione proveniente dal Tibet che vive nella parte orientale del Nepal e soprattutto nei centri di Khunde, Namche Bazar e Khumjung e che sopravvive con la pastorizia e la misera agricoltura di montagna. Un popolo di circa 150 mila individui per cui l’attività più redditizia rimane quella rischiosa di guide e portatori sulla soglia degli ottomila metri.
Alle autorità i rappresentanti degli sherpa hanno rivolto richieste precise a cominciare dal fondo per le famiglie delle vittime. Attualmente questo fondo è costituito dal 5 per cento degli introiti per i diritti alle scalate ed il governo è disposto ad innalzarlo al 15 per cento. Attualmente le famiglie delle vittime ricevono circa 8000 euro, il governo è disposto a salire sino a 13.000, ma gli sherpa ne chiedono 18.000. Una percentuale che gli sherpa definiscono irrinunciabile. Ma non è l’unico fondo che richiedono, un altro lo vogliono per la riabilitazione di chi rimane ferito. Il governo ha promesso pure la costruzione di un memoriale alle vittime, ma la chiave vera, che passa naturalmente anche attraverso un riconoscimento economico, è ridare dignità a un’intera etnia tenuta sempre un gradino sotto nella scala sociale nepalese.
La trattativa è appena iniziata, ma dalla loro parte gli sherpa hanno il tempo, davvero stretto per un’amministrazione che rischia di vedere seccare per un’intera stagione una delle voci più importanti della sua economia. Per la prima volta nella storia gli sherpa si sono mostrati estremamente compatti nelle loro rivendicazioni, anche al di là delle caste in cui la loro organizzazione sociale è tutt’ora divisa. Senza di loro, senza quell’esperienza e le capacità maturate anche a costo di tante vittime, non si sale su quelle vette dove si può toccare il cielo.