Daniele Martini, Il Fatto 23/4/2014, 23 aprile 2014
L’AMMINISTRATORE DELEGATO DEL TORCHIO PRESENTA AL CDA LE DURE RICHIESTE DI ETIHAD PER SALVARE L’EX COMPAGNIA DI BANDIERA. MA SE NON ACCETTA SARÀ FALLIMENTO SICURO
La passione di Alitalia non è finita con la Pasqua, anzi, probabilmente è appena cominciata, e la trattativa con gli arabi di Etihad si sta presentando come la stazione di una straziante via crucis. Tra la compagnia araba e quella italiana è in corso da alcuni giorni uno scambio di lettere e il consiglio di amministrazione di ieri pomeriggio della società di Fiumicino è stato usato dall’amministratore Gabriele Del Torchio per comunicare agli azionisti il succo di queste pratiche epistolari. Per tirar fuori dai 350 ai 500 milioni di euro con cui acquisirebbero tra il 40 e il 49 per cento della società italiana, i capi di Etihad guidati dal falco James Hogan continuano ad alzare la posta aggiungendo pretese a pretese. Una sfilza: 3.000 dipendenti da mandare a casa o in subordine da scaricare sullo Stato italiano e quindi sui contribuenti. E poi la trasformazione in azioni della compagnia dei 400 milioni di debito vantati da Banca Intesa e Unicredit che sono anche già socie rispettivamente con il 21 e il 13 per cento.
E INFINE la manleva sul contenzioso con l’ex azionista di punta Carlo Toto e con la low cost Windjet fallita e su tutte le partite pregresse relative al braccio di ferro con l’Agenzia delle Entrate a causa delle società di diritto irlandese con cui la compagnia italiana ha affittato gli aerei. Mentre dal governo italiano gli arabi vorrebbero provvedimenti per le compagnie low cost a cui dovrebbero essere negati i finanziamenti considerati aiuti lesivi della concorrenza.
Ciliegina sulla torta, ora spingono con sempre maggiore convinzione pure sulla pretesa di entrare dalla porta principale nel capitale e nella gestione di Adr-Aeroporti di Roma, la società dei Benetton che ha in concessione Fiumicino. Gli arabi presentano l’acquisto di una quota iniziale di almeno il 20 per cento dello scalo romano come l’ennesima condizione imprescindibile. Il percorso che prospettano è questo: prima deve essere chiusa la partita con Alitalia e subito dopo deve essere aperto il capitolo Fiumicino. Dal loro punto di vista l’aeroporto romano non è separabile dalla vicenda della compagnia italiana rappresentando un tassello della strategia di espansione nel mercato aereo italiano ed europeo. Per Etihad le piste capitoline possono diventare una base di lancio per i voli verso l’America del nord e del sud e anche uno scalo per convogliare verso Abu Dhabi i passeggeri diretti verso l’Estremo oriente e l’Australia. Al nord puntano invece sull’aeroporto di Linate a tutto svantaggio di Malpensa. Stando così le cose è sempre più chiaro che gli arabi stanno usando Alitalia come il cavallo di Troia per mettere le mani sui gangli vitali del trasporto aereo nazionale. I Benetton sono da una parte tentati dall’alleanza internazionale, ma dall’altra anche impauriti. Tentati perché un socio di peso come Etihad dell’emiro di Abu Dhabi potrebbe dare impulso allo sviluppo dell’aeroporto, ma pure impauriti dalla potenza finanziaria degli arabi che dove vanno diventano padroni.
Questa situazione di potenziale sudditanza degli interessi nazionali a quelli arabi è il grazioso ricordino lasciato da Silvio Berlusconi al quale nel 2008 venne in mente con una piroetta di impostare mezza campagna elettorale sull’accattivante quanto sconclusionato slogan “Alitalia agli italiani”. Vinte le elezioni, il centrodestra sbatté subito la porta in faccia ad Air France che era disposta a prendersi la compagnia italiana a condizioni relativamente assai meno iugulatorie di quelle imposte ora dai conquistatori arabi. Da quel momento per Alitalia non c’è stato un attimo di tregua e i “patrioti” berlusconiani sono passati da un rovescio all’altro. Dopo aver eseguito la due diligence (verifica) sui conti Alitalia, gli arabi conoscono le condizioni in cui versa la compagnia di Fiumicino e sanno di poter impugnare il coltello dalla parte del manico. Senza il loro ingresso l’azienda italiana muore in due secondi strangolata dai debiti, con il loro ingresso campa, ma sottomessa. Loro arabi, al contrario, senza Alitalia possono vivere benone e crescere in Europa e nel mondo. Alla prova dei fatti, rispetto ai francesi si stanno dimostrando negoziatori più spietati e comparando l’oggi con il 2008 è come se Alitalia fosse caduta dalla padella nella brace.
IL MINISTRO dei Trasporti, Maurizio Lupi, uno dei politici più vicini a Berlusconi ai tempi del no ad Air France, ripete con ottimismo che l’accordo con Etihad ci sarà sicuramente. Ma più che l’espressione di una certezza le sue parole sembrano un auspicio.
Da Il Fatto Quotidiano del 23/04/2014.