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 2014  aprile 23 Mercoledì calendario

MISSIONE: RICONQUISTARE IL PACIFICO OBAMA SALDA L’ALLEANZA ANTI-CINESE


DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK — Appena insediato alla Casa Bianca, all’inizio del 2009, Barack Obama mandò il suo segretario di Stato, Hillary Clinton, in missione in Asia e riservò al primo ministro giapponese Taro Aso l’onore della prima visita ufficiale al nuovo presidente Usa. Un’apertura verso Oriente che fece subito ingelosire l’Europa, abituata alla «special relationship» transatlantica. Ma il nuovo leader, nato alle Hawaii e cresciuto in Indonesia, guardava con calore e naturalezza al Pacifico come al luogo delle sue radici. Attitudini personali, certo, ma il cambio di atteggiamento fu in primo luogo il frutto dei primi lavori degli analisti di Obama che denunciavano: «America sbilanciata verso il Medio Oriente e l’Asia Centrale dov’è impegnata quasi tutta la sua forza militare, proprio mentre nell’Asia Orientale stanno avvenendo i cambiamenti economici e sociali più rilevanti della storia dell’umanità».
Da lì la decisione del presidente di cambiare rotta, focalizzando la strategia americana soprattutto sul Pacifico e l’Estremo Oriente. Quattro anni dopo quella svolta, il nuovo viaggio di Obama in Asia — il presidente è partito ieri sera per Tokyo — serve a ridare vigore a una politica che, abbastanza nitida nella sua impostazione iniziale, è andata man mano assumendo connotati sempre più confusi per diversi fattori concomitanti: in primo luogo l’esplodere di crisi in altre aeree del mondo — dalla guerra civile in Siria all’aggressione russa all’Ucraina — che ha costretto Obama a rivedere di nuovo le sue priorità; poi l’estrema complessità del quadro geopolitico e storico dell’Estremo Oriente, che costringe gli Usa a fare i conti con frizioni e conflitti nell’area che nascono dall’espansionismo cinese, dagli imprevedibili comportamenti dell’eccentrico dittatore della Corea del Nord, ma anche dal risorgente nazionalismo giapponese, mentre perfino tra gli alleati dell’America si sprigionano di continuo scintille. Benché tutti e due minacciati dalla Cina, ad esempio, Giappone e Corea del Sud vivono una stagione di tensioni crescenti.
Il terzo ordine di problemi è di tipo economico ed ha un nome: Tpp. L’alleanza commerciale transpacifica avrebbe dovuto funzionare da collante tra gli Stati Uniti e gli altri alleati asiatici, coinvolgendo anche Canada e Australia: un’area di libero scambio pari al 40 per cento del commercio mondiale capace di diventare un blocco anche politico, capace di comprimere e condizionare la stessa Cina. Ma anche la Trans Pacific Partnership, l’alleanza teoricamente più facile da condurre in porto, segna il passo: per le difficoltà di Obama che non ha ottenuto da un Congresso diviso il «fast track», la «corsia veloce» per l’approvazione del trattato commerciale, ma anche perché, nonostante decenni di rapido sviluppo del commercio mondiale, il protezionismo rimane forte in molti mercati. A partite proprio dal Giappone che resiste all’apertura alle carni americane e protegge ostinatamente i suoi produttori di riso.
La missione di Obama, che dopo il Giappone visiterà la Corea del Sud, le Filippine e la Malaysia (tre alleati e un Paese amico ma senza un legame stretto con gli Usa) serve a rassicurare i partner, ribadendo l’impegno degli Usa a difendere gli alleati da qualunque aggressione, ma anche a cercare di riavviare il negoziato commerciale. Il presidente americano, poi, vuole favorire la ricerca di una soluzione delle dispute territoriali della Cina coi suoi vicini attraverso negoziati anziché attraverso pericolose prove di forza. Ma qui ha le mani parzialmente legate dalle antiche, profondissime rivalità tra i Paesi dell’area e dalla diffidenza della Cina che vive la missione di Obama in Estremo Oriente come un «grand tour» del contenimento delle ambizioni della Cina.
Quello di Obama è diventato un lavoro pressoché impossibile. Se rassicura militarmente gli alleati provoca reazioni furiose della Cina come quella sperimentata dal capo del Pentagono, Chuck Hagel, nel suo recente viaggio a Pechino. Se insiste sui toni conciliatori alimenta il sospetto dei partner che in caso di attacco in Asia, l’America potrebbe anche non intervenire in difesa dei suoi alleati con sufficiente vigore.
L’aggressione russa all’Ucraina accentua i timori: Obama potrebbe essere costretto ad occuparsi soprattutto di Putin anche durante il suo tour tra le capitali asiatiche. E qui gli alleati dell’America temono che l’aggressività di Mosca possa spingere anche Pechino a osare di più nel conflitto coi suoi vicini, contando sul fatto che Washington farà di tutto per evitare di essere presa tra due fuochi.